POTERI FISCALI, QUESTA LA SFIDA
AFugatti consiglio cautela e di puntare sui poteri fiscali.
Leggo che il presidente Maurizio Fugatti ha deciso di aprire con il governo nazionale una discussione sulla finanza provinciale, finalizzata in particolare a ottenere una riduzione del nostro contributo alla finanza statale, come definito dagli Accordi di Milano e successivamente di Roma.
La preoccupazione sulla tenuta del bilancio provinciale è ovviamente non solo legittima, ma doverosa. E richiede un atteggiamento costruttivo da parte di tutti, maggioranza e opposizione.
Con questo spirito — e in base all’esperienza che ho potuto maturare — vorrei suggerire al presidente Fugatti estrema prudenza e guardinga cautela, onde evitare boomerang. Sopratutto se, come leggo, l’intenzione è di aprire un’eventuale trattativa unicamente sul «quantum» del nostro contributo finanziario e non sui meccanismi che lo regolano e lo determinano.
L’argomentazione dalla quale, come leggo, il presidente intende partire (cioè che sta venendo meno una posta significativa delle nostre entrate, vale a dire le quote annuali relative ai gettiti arretrati) non mi sembra molto forte e temo non farebbe granché effetto a Roma. Lo Stato potrà facilmente contro argomentare che tutto ciò era ampiamente previsto e concordato. Infatti, nell’Accordo di Milano del 2009 le due Province Autonome ottennero — tra l’altro — di sbloccare una cifra enorme di arretrati che lo Stato doveva loro e che fino ad allora ben si guardava dall’erogare. Per Trento si trattava di circa quattro miliardi di euro. Si convenne che lo Stato avrebbe trasferito questa somma con rate annuali in circa 10 anni. Così è stato fatto e ora, come previsto, queste entrate si stanno esaurendo.
Con i citati Accordi, peraltro e con altri provvedimenti legislativi negoziati negli anni successivi, il concorso delle due Province Autonome alla finanza statale è stato rideterminato e ricondotto a criteri meno discrezionali. Inoltre, è stata successivamente chiarita la questione delle «riserve all’Erario» ed è stato superato il Patto di Stabilità fondato sui tetti di spesa, accrescendo quindi certezza delle entrate e autonomia di gestione delle risorse. Mi permetto tra parentesi di precisare che nell’Accordo di Milano non si è affatto rinunciato al «principio dei nove decimi», che rimane ben chiaro nel nostro Statuto. Si è invece superata la previsione della «quota variabile» (quella che anticamente veniva negoziata di anno in anno «oltre» la quota dei nove decimi), per la semplice ragione che ormai era totalmente incongruente sia con il nuovo ordinamento finanziario sia con le mutate condizioni economiche dei nostri territori e, oltretutto, da parecchi anni era inapplicata. In sostanza, era per noi ormai inesigibile. Per tali ragioni suggerisco prudenza e cautela.
Le condizioni della finanza pubblica statale non sono oggi molto migliori, nella sostanza. E tutti speriamo che non subiscano accelerazioni negative a causa di fattori interni e sopratutto esterni, come quelli che molti intravvedono in termini di nuova recessione economica a livello globale ed europeo.
Teniamo conto inoltre che pare tutt’altro che risolta la problematica dell’autonomia differenziata per alcune regioni ordinarie e questo rende oltremodo delicata — sul piano del consenso politico parlamentare — la posizione delle Autonomie speciali.Forse, dunque, le argomentazioni da portare al confronto con il governo devono essere di altro tenore. Se potessi dare un consiglio, direi di preparare invece un pacchetto di proposte tese ad accrescere la nostra capacità di «produrre» ricchezza (anche fiscale) e di amministrarla con maggiore autonomia e responsabilità, iniziando con il porre di nuovo una questione di fondo, che riguarda l’ambito dei poteri fiscali in capo alle Provincie Autonome.