Paluselli, l’uomo che visse in solitudine per 35 anni
Alfredo Paluselli, il custode del Cimon della Pala, era un uomo schivo, un poeta alpinista che per trovare la vicinanza ai temi artistici più sentiti aveva scelto un eremitaggio al cospetto delle Pale di San Martino: 35 anni di isolamento, lontano dagli affetti, con difficili risvolti anche a livello pratico, inevitabili quando si decide di vivere in autonomia a una quota di 2.200 metri. Ironia della sorte — a mezzo secolo dalla sua scomparsa — è l’omonimo nipote a dare luce alla figura del nonno, con la riedizione del libro «Vento da nord». Il discendente della guida alpina di Ziano di Fiemme ha cercato però di superare il legame di sangue nell’ottica di arrivare a rendere un ritratto il più possibile accurato del progenitore: «Il libro è ormai alla terza riedizione, ma il lavoro di scrittura a suo tempo è stato complesso e preceduto dal recupero del materiale documentale, che ha impiegato due anni — spiega Alfredo —. Ho scelto di mantenere una certa distanza, anche se parlare di distacco è forse eccessivo. Volevo rendere un’immagine di mio nonno che fosse quanto più possibile completa e non parziale. Ho preferito partire dagli scritti e dai disegni piuttosto che dalle testimonianze di mio padre o mio zio, che comunque sono parte del lavoro».
Paluselli è un personaggio di un passato che può apparire quasi fiabesco, eppure attuale: «Sicuramente mio nonno rappresenta una figura moderna, di grande attualità nonostante fosse nato nel 1900. Trascorse una vita movimentata, da emigrato prima e molto varia anche dopo. Quando tornò in Trentino prese scelte rischiose: fece scommesse nelle quali aveva messo tutto sé stesso senza avere certezza di un ritorno futuro. L’insegnamento che se ne ricava è che si può vivere la propria vita con coraggio. È una sorta di incitamento a provare, perché in un’esistenza si possono davvero fare una moltitudine di cose».
Il destino scelse per Paluselli una vita subito itinerante: figlio di un impresario edile locale impegnato nella costruzione degli argini del fiume Reno, seguì in un certo senso la corrente che portò la sua famiglia a trasferirsi in Svizzera e in Germania. Alfredo imparò il tedesco e il francese, 25enne si imbarcò da clandestino su una nave diretta negli Stati Uniti, dove rimase due anni a lavorare e aggiunse l’inglese alle prime esperienze in campo artistico. «Fece i mestieri più disparati, mandava soldi a casa a sua madre come tanti emigranti del tempo». Prima di tornare in Trentino Alfredo fece tappa in Svizzera, imparò le moderne tecniche sciistiche (in Italia al tempo era diffuso il telemark) e decise di fondare una propria scuola di sci. A passo Rolle costruì la capanna Cervino e si diede all’attività di guida alpina: «Era un valido alpinista, tra le altre cime scalò la Torre Winkler in solitaria, esercitò per un discreto periodo. Ma in tutto quello che faceva riusciva a unire elementi di diversa estrazione e così anche nella costruzione della Baita Segantini utilizzò tecniche e inserì componenti derivanti dalla sua esperienza negli Stati Uniti».
Nel 1936 decise di intraprendere la traversata con gli sci da San Martino di Castrozza a Cortina d’Ampezzo, ma l’impresa fu funestata dalla morte di quattro partecipanti: «Non so se la successiva decisione di andare a vivere in solitudine fu propiziata da quell’evento, a livello temporale la correlazione c’è». Paluselli, che aveva intitolato Baita Segantini al grande pittore arcense di cui era un fervente ammiratore, decise così di passare il resto della propria esistenza al cospetto delle Pale di San Martino, dove si diede totalmente al disegno e alla scrittura, alimentando la fama di uomo schivo e introverso: «Il suo carattere rude nascondeva un animo di grandissima sensibilità e la bellezza di quanto ha scritto è frutto anche della solitudine che ha vissuto per tanti anni. Tra i miei scritti preferiti c’è una poesia che si chiama “L’amore delle nuvole”, dove le nuvole riassumono il significato della vita — sottolinea il nipote —. Credo che un’ispirazione così limpida e cristallina possa essere il frutto solo di tanti anni di riflessione e isolamento».
Nel laghetto artificiale che aveva ricavato a lato del rifugio, Paluselli guardava specchiarsi la bellezza della natura e trovava così la forza di vivere in un ambiente che — soprattutto d’inverno —, risultava difficile da affrontare: «Lasciò la baita per alcuni periodi, ma tornò sempre lassù, a testimonianza di quanto fosse convinto della scelta intrapresa».
Il nipote del poeta ha ricostruito la figura del nonno in una certosina opera di ricerca e recupero delle opere prodotte in vita: tanti frammenti sparsi nelle valli del Trentino Alto Adige, nelle case e nei ricordi di moltissima gente a cui Alfredo affidava le proprie creazioni: «È stato come rimettere insieme un puzzle. Poi ovviamente ho ricavato molto anche dall’esperienza di mio padre e mio zio, che hanno delineato i tratti di una persona dal carattere difficile, dalle scelte estreme. Ora “Vento da nord” è diventato anche un’opera teatrale, un messaggio che portiamo nelle scuole — conclude Paluselli —. Di mio nonno spicca la grande sensibilità nei confronti degli animali e della natura: è un tema che sento molto mio, nel quale mi ritrovo, e che allo stesso tempo ritengo estremamente moderno, attuale. È un bel messaggio da trasmettere alle nuove generazioni».
Il nipote La scelta della solitudine forse propiziata da una tragedia nella traversata da San Martino di Castrozza a Cortina Ci ha insegnato a vivere con coraggio, a realizzare i sogni