LE SFIDE APERTE DI FUGATTI
Classe dirigente, tema cruciale
Poco più di un anno fa (21 ottobre) le urne stabilirono il termine dell’esperienza del centrosinistra autonomista, poco meno di un anno fa (13 novembre) Maurizio Fugatti firmava il decreto di nomina della nuova giunta provinciale che nasceva sull’onda dell’esondazione leghista. Il bilancio di un anno è quello di una stagione incompiuta — non potrebbe essere diversamente —, ma le cui motivazioni sembrano per ora confermate a livello politico e di società anche sull’onda del sentiment nazionale. Le elezioni comunali saranno uno snodo essenziale di radicamento o di sospensione del progetto perché quella leghista è un’affermazione ancora non strutturata, legata alla variabile passe-partout del «salvinismo» e soprattutto in difetto di interpreti.
Fugatti ha spalmato la sua azione su una serie di concetti oppositivi: popoloélite, trentini-non trentini, valli-città. In queste direttrici ha costruito la proposta politica del suo governo, prestando attenzione anche alle simbologie e finendo talvolta per imboccare la strada della contraddizione. Il concetto di popolo è sfuggente, la linea di demarcazione tra trentini e non spesso è labile e se la si guarda in una retrospettiva storica emerge il pluralismo più che i tratti di una monade culturale. Il governatore del Carroccio non ha rifiutato di relazionarsi con il sistema dei poteri e delle rappresentanze, ma se n’è tenuto distante appena ha potuto.
Le misure più enfatizzate — ma non necessariamente più importanti — sono state accompagnate da una forma retorica popolare che ha ricompreso culla e terza età: bus e treni gratuiti per gli over 70, costo degli abbonamenti dimezzati per gli studenti delle valli, progetti di mobilità per i disabili, contributi per l’abbattimento delle tariffe relative all’attività sportiva, bonus per la natalità. Alcuni di questi sono stati finanziati con i risparmi di cassa ricavati dalla cooperazione internazionale che ha combaciato con l’azzeramento dell’accoglienza diffusa dei richiedenti asilo e i tagli alle attività per la loro inclusione, suscitando continui urti tra le differenti componenti della società.
Qualcuno ha sottolineato l’iniquità di alcuni provvedimenti — come la gratuità dei servizi di trasporto pubblico per gli anziani poiché, all’interno della popolazione, tra i più garantiti — ma la loro resa sociale e di consenso ha un coefficiente garantito. Del resto la Lega ha saputo interpretare lo spaesamento e la disillusione della globalizzazione, rievocando rapporti ancestrali e porgendo una vicinanza politica che altri hanno negato. O hanno creduto di poter mediare attraverso le relazioni di una rappresentanza rimasta inchiodata a quarant’anni fa.
Gli Stati generali della montagna sono stati il tentativo di promuovere una partecipazione diffusa e di offrire un segnale di estroversione sul tema che attraversa ogni crinale storico in Trentino: la vita nelle valli. Una risposta anche alla constatazione allarmata dell’arcivescovo Tisi che ha inserito la questione dello spopolamento e l’alleanza con i laici per salvare le comunità nel suo discorso pubblico e un terreno su cui costruire un’alleanza con la Federazione della cooperative, poi attenuata dalla distanza di visione sui migranti. La traduzione ad oggi è legata soprattutto ai servizi (punti nascita, guardie mediche, negozi) perché nell’attuale governo prevale l’orientamento al pragmatismo, a volte sacrificando la costruzione di visioni allargate. In fin dei conti è la cifra della Lega che si è embricata nella quotidianità e attraverso una sua interpretazione ostile ha generato una narrazione e soprattutto un narratore (Salvini) capace di radicalizzare ogni termine di confronto e di generare proselitismo politico.
Quello dei richiedenti asilo e dei migranti — la relazione con l’Altro, con la differenza — rimane l’elemento fondativo dell’impalcatura politica dove Fugatti non ha accettato moderazioni. Ma il cortocircuito è dietro l’angolo. Se sempre più trentini — come rivela la Fondazione Migrantes — sono attratti con differenti motivazioni dalle mete estere e gli immigrati non sono considerati un valore, l’impianto socioeconomico della provincia scricchiola. Lo ha sottolineato il presidente di Confindustria Fausto Manzana nell’ultima assemblea di Riva del Garda: le imprese hanno bisogno di manodopera e i luoghi del lavoro possono essere l’avamposto dell’inclusione, invitando la classe politica (leghista) al realismo. Alzare a dieci anni di residenza la soglia dei requisiti di accesso ad alcuni servizi (alloggi popolari, bonus natalità, eccetera), creare uno statuto di estraneità quando non di criminalità intorno alle figure dei viaggianti come si faceva un tempo con i folli non depone a favore dell’attrattività del territorio.
Forse Fugatti diventerà più pragmatico nel campo in cui si è dimostrato più ideologico, questo dipenderà anche dalla risoluzione del principale banco di prova che ha di fronte a sé: reperire, e in termini rapidi, classe dirigente. Il gazebo e la strada sono parti importanti della politica, ma il governo richiede competenze e lungimiranza. Qualche assessorato è in sofferenza, nella nomina di alcuni enti (Mart, Muse, Forum per la cultura) si è optato per personalità esterne o per il recupero del vecchio personale politico (Sergio Divina), lo spoil system complessivo nella pubblica amministrazione ha risentito dell’assenza di un organigramma della destra. Fisiologico dopo vent’anni di opposizione, ma non in prospettiva. E nella corsa verso le comunali — dove si guarda anche alla società civile, soprattutto nei poli urbani — il tema si pone con ancora più forza con qualcuno che sottovoce ipotizza la prospettiva del «beautiful loser» come male minore. In attesa di colmare il vuoto.