«Sociologia, i tafferugli sono espressione di una sinistra in crisi»
Alberoni guidò Sociologia negli anni ‘70. «Non si paragonino i fatti di oggi»
Non si paragoni gli scontri di mercoledì, a Sociologia, agli anni delle contestazioni studentesche. Francesco Alberoni c’era e, oggi, non intravede segnali particolari. Se non l’eco «di una profonda crisi della sinistra». Ma Trento non è teatro di tensioni particolari. «Sono altre — dice il sociologo — le piazze calde».
TRENTO «A me un’ombrellata in testa non l’avrebbero mai data. Non si sarebbero mai azzardati». Il sociologo Francesco Alberoni nel Sessantotto era direttore dell’Istituto Superiore di Studi sociali, l’incubatore della Facoltà di Sociologia che nacque ufficialmente nel 1973 e tra i sui studenti c’erano Renato Curcio, Mauro Rostagno, Marco Boato. Oggi ha seguito le contestazioni al giornalista Fausto Biloslavo di mercoledì (il reporter di guerra è stato contestato per il suo passato, negli anni Settanta, nel Fronte della Gioventù e il suo intervento a Sociologia ha scatenato tafferugli fra collettivi di sinistra e gruppi vicini a Casapound). «Ho letto, ma non sapevo che il rettore fosse stato colpito con un ombrello — dice — Io a Trento non sono più tornato, se non per una cerimonia in municipio quando mi venne assegnata una medaglia. La città mi aveva dato l’impressione di essere sonnolenta rispetto a un tempo».
E invece si sono rivisti i tumulti, come si diceva allora.
«Ma non si faccia il paragone con il Sessantotto, per favore. Sono passati cinquant’anni, il più giovane degli universitari di allora ha oggi 70 anni. Era appena morto Che Guevara, Martin Luther King nel 1968 venne assassinato. Era un mondo diverso e per questo dico che i fatti di mercoledì sono qualcosa di strano».
E la preoccupano?
«Ma no, dico solo che ci sono zone più calde di tensione a livello nazionale. Penso a Torino, una città che ha sofferto la crisi della Fiat e che oggi vede la contrapposizione sulla Tav. Penso a Palermo, al limite a Roma. Ma a Trento manca il contesto per una polarizzazione».
Quindi si tratta solo di espressioni estemporanee?
«Espressioni della profonda crisi della sinistra. E una certa sinistra, sentendosi isolata, schiacciata dall’avanzata della destra, risponde così. Che in Italia ci siano le condizioni in cui possano formarsi gruppi esasperati di sinistra sì, più di sinistra che di destra. Ma che questo parta da Trento non credo proprio».
E non da Sociologia.
«Allora c’era un grande movimento a livello globale, era tutto in subbuglio. Ora c’è solo un fondo di malcontento che si esprime in modo anarcoide in Italia ma anche in altre parti d’Europa: in Francia con i gilets jaunes. Allora c’era un’ondata mondiale di speranza e di follia, tutto un universo di rivolta. C’era un’atmosfera eccitata, esuberante, appassionata. Era un altro mondo».
Dice che a lei un ombrello in testa non lo avrebbero mai dato. Com’era il rapporto tra lei, il rettore, e gli studenti di allora, nel pieno della rivolta studentesca?
«Avevo ottimi rapporti con gli studenti, mai si sarebbero permessi di toccarmi. Figurarsi. Io arrivai alla direzione di quello che un tempo era l’Istituto Superiore di Scienze sociali, poi Sociologia, dopo le dimissioni di Mario Volpato. Non riuscivano a trovare un disgraziato che sapesse tenere testa agli studenti e il comitato ordinatore, che era fatto da illustri personaggi come Norberto Bobbio e Nino Andreatta, scelse me che al tempo mi occupavo di movimenti collettivi. Studiandoli, c’ero in mezzo».
Com’era il confronto con il movimento studentesco?
«Con il movimento studentesco avevo fatto un accordo. C’erano Mauro Rostagno, Marco Boato, persone intelligenti con cui si poteva parlare. Quando io ero rettore, se fosse venuto qualcuno a parlare da fuori avrei convocato il comitato bilaterale, come lo chiamavamo allora, che era composto da sei docenti più sei studenti, tutti esponenti del movimento. Quella era la sede del confronto e lì avremmo discusso assieme, anche animatamente».
E che decisione sarebbe potuta uscire?
«Se fosse prevalso il no si
evitavano tumulti. Ma se fosse prevalso il sì all’accoglienza di qualcuno da fuori poi nessuno avrebbe dovuto aprire bocca, nemmeno fiatare. In quegli anni c’era dialogo e il governo dell’università si faceva assieme. E poi si discuteva dappertutto, anche nei bar. E si discuteva su quello che nel mondo accadeva, si leggevano libri e poi ci si confrontava. Anche aspramente, anche da posizioni diverse, ma ci si confrontava».
Lei si è candidato alle ultime elezioni politiche con Fratelli d’Italia, non è mai stato di sinistra.
«No, non sono mai stato di sinistra, io non ho mai nascosto di essere un liberale, non ne ho mai fatto un mistero. Ma questo non mi impediva di rapportarmi con gli studenti di sinistra. Anzi, si discuteva con ancor più intensità».
In quegli anni gli studenti erano mossi da questioni ideologiche. Ora che le grandi ideologie sono ormai scomparse, cosa muove queste espressioni di contestazione?
«Niente. La rabbia, il rancore. E non c’è nulla di politico. Poi i giovani di oggi sono disattenti, sfiduciati, non immaginano nemmeno più il futuro. Il Sessantotto non torna, ora ci sono bande fanatiche e violente, ma sono bande, nemmeno gruppi. E senza dubbio non sono un movimento».
Il giornalista Fausto Biloslavo, che quando era giovane militava nel Fronte della Gioventù, la giovanile del Movimento sociale italiano, è stato accolto al grido «Fuori i fascisti dall’università».
«Questi hanno poche categorie, sono dei poveracci ignoranti, e il mondo è molto più complesso».
Rettore colpito A me un ombrello in testa non l’avrebbero mai dato. Non si sarebbero azzardati
Ieri e oggi Era appena morto Che Guevara, Luther King venne assassinato. Era un mondo diverso
Tafferugli Sono espressioni della crisi della sinistra, schiacciata dalla crescita della destra