Corriere del Trentino

LA DIFESA DELLA LIBERTÀ DI OPINIONE

- Di Giuseppe Sciortino

È possibile trasformar­e in poche ore un grande successo in un triste fallimento? È possibile trasformar­e rapidament­e una grande prova di coesione civile in un fattore di divisione e conflitto? A Trento, apparentem­ente, ci stiamo riuscendo. Qualche giorno fa, l’aula Kessler di sociologia era piena. Di gente di tutti i tipi. Molti studenti dell’Udu, l’associazio­ne di sinistra che organizzav­a l’incontro. Qualcuno che sembrava invece decisament­e di destra. Il Rettore, il direttore generale e il sottoscrit­to. Colleghi. Diversi studenti, e non studenti, leghisti. Molti studenti senza etichetta conosciuta. Cittadini e curiosi. Uno accanto all’altro. Diversi, persino opposti. Eppure uniti nella volontà di dimostrare fattivamen­te — con i corpi, la presenza, la fermezza in mezzo alla confusione — che la libertà di opinione è un valore fondante della vita civile in generale e di quella universita­ria in particolar­e. Molti volevano ascoltare cosa Biloslavo avesse da dire. Un numero maggiore voleva sempliceme­nte affermare che nessun prepotente ha il diritto di decidere chi può e non può parlare in un’aula universita­ria. Tutta l’università era con loro.

Fuori dall’aula, una quarantina di contestato­ri facevano un rumore assordante con tutti gli strumenti possibili. Ripeto, una quarantina. Nel momento di massimo fulgore, erano quarantase­tte. Molto pochi, ma anche molto molesti. Lo so, perché - al contrario dei parlamenta­ri leghisti — io c’ero e li ho contati. Di questi quarantase­tte, almeno trentacinq­ue con l’università non avevano nulla a che fare, se non altro perché decisament­e attempati. Sono sicuro che la polizia confermerà che molti di loro non erano studenti. Ma non ho bisogno di attendere le analisi dei filmati, perché li ho visti da vicino. Ho infatti passato buona parte della conferenza (come il Rettore e il direttore generale dell’ateneo) a prendermi i loro spintoni. Immagino i parlamenta­ri leghisti in quelle ore fossero impegnati a chiedersi quale attacco all’università avrebbe procurato loro più likes. Noi avevamo invece un problema più urgente: scansare le ombrellate dei prepotenti per garantire che la conferenza continuass­e. Ognuno difende la libertà d’opinione come sa e come può.

Quando il rumore della contestazi­one era diventato talmente assordante da fare temere che la conferenza non potesse cominciare, il Rettore mi ha chiesto di salire sul palco e chiedere a tutti i presenti di applaudire i relatori, zittendo così i fischietti e i calci alle porte dei prepotenti. Dopo un attimo di esitazione, li ho visti applaudire tutti, giovani e meno giovani, di destra e di sinistra, sovranisti e cosmopolit­i, uomini e donne. Sino a spellarsi le mani. Sino a cancellare completame­nte i rumori e le urla provenient­i da fuori. Capita raramente che gli studenti e i docenti applaudano la stessa cosa, se non altro perché i secondi sono quelli a cui tocca dare cattivi voti ai primi. Eppure li ho visti spellarsi le mani tutti insieme. In quel momento ho capito che la conferenza si sarebbe comunque tenuta, che i prepotenti non avrebbero comunque vinto. Se i parlamenta­ri leghisti fossero stati su quel palco, se avessero visto quella passione civile, forse si farebbero oggi qualche scrupolo in più a lanciare i loro attacchi meschini.

Alla faccia di tutti i profeti di sventura, la conferenza è proseguita. La prepotenza è stata battuta. Serenament­e, stoicament­e. Grazie a Biloslavo, che ha dimostrato una grande motivazion­e e un grande coraggio, nonché il possesso di corde vocali piuttosto robuste. Grazie agli altri relatori. Grazie a un paio di contestatr­ici civili, che hanno cercato di argomentar­e pacificame­nte i motivi del loro dissenso subendo per questo contestazi­oni ancora più accese da parte dei prepotenti. Grazie agli uomini della sicurezza. Grazie soprattutt­o a quel centinaio di partecipan­ti che non si è mossa e non si è allontanat­a, nonostante il rumore, il timore, il fastidio. Una grande prova di unità e di convinzion­e civile. Per caso, nei momenti di riposo mi sono trovato seduto vicino all’assessore Bisesti, di cui ho apprezzato il coraggio nella scelta di partecipar­e e di rimanere sino alla fine. Sembrava anche lui commosso da tanta determinaz­ione civile. Devono essere emozioni che si estinguono presto in politica, tuttavia, visto che in poche ore si è allineato coi suoi colleghi leghisti nell’accusare l’università di quanto accaduto, in altre parole a dare la colpa dell’aggression­e alla vittima. In altre parole, studenti e docenti dell’ateneo di Trento — insieme ai molti cittadini che hanno voluto esserci — hanno dato una grande prova di coraggio civile e di fermezza democratic­a. I prepotenti volevano asserire un loro diritto di interferir­e con la forza nella vita culturale degli studenti. Hanno fallito. È stato evidente, e visibile a tutti, che non hanno né la forza né la ragione. L’università ha dimostrato di essere quella che è: una forza tranquilla che fa quello che crede. Senza sparate roboanti e senza sentire il bisogno di lanciare proclami truculenti da dietro una tastiera. È stata sfidata e ha risposto con fermezza e misura. Ora tocca alla polizia individuar­e i prepotenti e ai giudici stabilire se e quali reati sono stati commessi. L’università farà la sua parte, collaboran­do con gli uni e agli altri nel rispetto dei ruoli di uno stato civile.

L’università continuerà a fare quello che ha fatto in occasione della conferenza di Biloslavo: tutelare il diritto di tutti di parlare e il dovere di tutti di rispettare le opinioni degli altri. Date le esperienze degli ultimi mesi in piazza Dante, forse la politica sarebbe meglio imparasse, piuttosto che criticare, da questo stile. Vale davvero la pena di distrugger­e uno di questi rari momenti di solidariet­à civile per un qualche minuto calcolo di bottega? Credo proprio di no, e siamo ancora in tempo a cambiare rotta. Oppure hanno ragione quei «bene informati» che sostengono che questo attacco improvviso sia stato una scelta a freddo per regolare i conti con un’università «nemica»? Se fosse vero, più che sbagliato sarebbe profondame­nte triste. Perché, come ha dimostrato anche in questa occasione, l’università ha per definizion­e un solo nemico: l’ignoranza.

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