LA DIFESA DELLA LIBERTÀ DI OPINIONE
È possibile trasformare in poche ore un grande successo in un triste fallimento? È possibile trasformare rapidamente una grande prova di coesione civile in un fattore di divisione e conflitto? A Trento, apparentemente, ci stiamo riuscendo. Qualche giorno fa, l’aula Kessler di sociologia era piena. Di gente di tutti i tipi. Molti studenti dell’Udu, l’associazione di sinistra che organizzava l’incontro. Qualcuno che sembrava invece decisamente di destra. Il Rettore, il direttore generale e il sottoscritto. Colleghi. Diversi studenti, e non studenti, leghisti. Molti studenti senza etichetta conosciuta. Cittadini e curiosi. Uno accanto all’altro. Diversi, persino opposti. Eppure uniti nella volontà di dimostrare fattivamente — con i corpi, la presenza, la fermezza in mezzo alla confusione — che la libertà di opinione è un valore fondante della vita civile in generale e di quella universitaria in particolare. Molti volevano ascoltare cosa Biloslavo avesse da dire. Un numero maggiore voleva semplicemente affermare che nessun prepotente ha il diritto di decidere chi può e non può parlare in un’aula universitaria. Tutta l’università era con loro.
Fuori dall’aula, una quarantina di contestatori facevano un rumore assordante con tutti gli strumenti possibili. Ripeto, una quarantina. Nel momento di massimo fulgore, erano quarantasette. Molto pochi, ma anche molto molesti. Lo so, perché - al contrario dei parlamentari leghisti — io c’ero e li ho contati. Di questi quarantasette, almeno trentacinque con l’università non avevano nulla a che fare, se non altro perché decisamente attempati. Sono sicuro che la polizia confermerà che molti di loro non erano studenti. Ma non ho bisogno di attendere le analisi dei filmati, perché li ho visti da vicino. Ho infatti passato buona parte della conferenza (come il Rettore e il direttore generale dell’ateneo) a prendermi i loro spintoni. Immagino i parlamentari leghisti in quelle ore fossero impegnati a chiedersi quale attacco all’università avrebbe procurato loro più likes. Noi avevamo invece un problema più urgente: scansare le ombrellate dei prepotenti per garantire che la conferenza continuasse. Ognuno difende la libertà d’opinione come sa e come può.
Quando il rumore della contestazione era diventato talmente assordante da fare temere che la conferenza non potesse cominciare, il Rettore mi ha chiesto di salire sul palco e chiedere a tutti i presenti di applaudire i relatori, zittendo così i fischietti e i calci alle porte dei prepotenti. Dopo un attimo di esitazione, li ho visti applaudire tutti, giovani e meno giovani, di destra e di sinistra, sovranisti e cosmopoliti, uomini e donne. Sino a spellarsi le mani. Sino a cancellare completamente i rumori e le urla provenienti da fuori. Capita raramente che gli studenti e i docenti applaudano la stessa cosa, se non altro perché i secondi sono quelli a cui tocca dare cattivi voti ai primi. Eppure li ho visti spellarsi le mani tutti insieme. In quel momento ho capito che la conferenza si sarebbe comunque tenuta, che i prepotenti non avrebbero comunque vinto. Se i parlamentari leghisti fossero stati su quel palco, se avessero visto quella passione civile, forse si farebbero oggi qualche scrupolo in più a lanciare i loro attacchi meschini.
Alla faccia di tutti i profeti di sventura, la conferenza è proseguita. La prepotenza è stata battuta. Serenamente, stoicamente. Grazie a Biloslavo, che ha dimostrato una grande motivazione e un grande coraggio, nonché il possesso di corde vocali piuttosto robuste. Grazie agli altri relatori. Grazie a un paio di contestatrici civili, che hanno cercato di argomentare pacificamente i motivi del loro dissenso subendo per questo contestazioni ancora più accese da parte dei prepotenti. Grazie agli uomini della sicurezza. Grazie soprattutto a quel centinaio di partecipanti che non si è mossa e non si è allontanata, nonostante il rumore, il timore, il fastidio. Una grande prova di unità e di convinzione civile. Per caso, nei momenti di riposo mi sono trovato seduto vicino all’assessore Bisesti, di cui ho apprezzato il coraggio nella scelta di partecipare e di rimanere sino alla fine. Sembrava anche lui commosso da tanta determinazione civile. Devono essere emozioni che si estinguono presto in politica, tuttavia, visto che in poche ore si è allineato coi suoi colleghi leghisti nell’accusare l’università di quanto accaduto, in altre parole a dare la colpa dell’aggressione alla vittima. In altre parole, studenti e docenti dell’ateneo di Trento — insieme ai molti cittadini che hanno voluto esserci — hanno dato una grande prova di coraggio civile e di fermezza democratica. I prepotenti volevano asserire un loro diritto di interferire con la forza nella vita culturale degli studenti. Hanno fallito. È stato evidente, e visibile a tutti, che non hanno né la forza né la ragione. L’università ha dimostrato di essere quella che è: una forza tranquilla che fa quello che crede. Senza sparate roboanti e senza sentire il bisogno di lanciare proclami truculenti da dietro una tastiera. È stata sfidata e ha risposto con fermezza e misura. Ora tocca alla polizia individuare i prepotenti e ai giudici stabilire se e quali reati sono stati commessi. L’università farà la sua parte, collaborando con gli uni e agli altri nel rispetto dei ruoli di uno stato civile.
L’università continuerà a fare quello che ha fatto in occasione della conferenza di Biloslavo: tutelare il diritto di tutti di parlare e il dovere di tutti di rispettare le opinioni degli altri. Date le esperienze degli ultimi mesi in piazza Dante, forse la politica sarebbe meglio imparasse, piuttosto che criticare, da questo stile. Vale davvero la pena di distruggere uno di questi rari momenti di solidarietà civile per un qualche minuto calcolo di bottega? Credo proprio di no, e siamo ancora in tempo a cambiare rotta. Oppure hanno ragione quei «bene informati» che sostengono che questo attacco improvviso sia stato una scelta a freddo per regolare i conti con un’università «nemica»? Se fosse vero, più che sbagliato sarebbe profondamente triste. Perché, come ha dimostrato anche in questa occasione, l’università ha per definizione un solo nemico: l’ignoranza.