Abate, la natura attraverso gli occhi di un bambino
Natura come metafora della vita nel nuovo romanzo di Abate «L’incanto dell’infanzia, la magia del passaggio all’età adulta»
La natura sembra sprigionare un’energia primigenia, intatta. «Furibondo» è il coro degli uccelli, le ghiandaie «fameliche» all’alba si avventano sui bottafichi. Questo (e molto altro) in L’albero della
fortuna (Aboca, 176 pagine, 14 euro), il nuovo libro dello scrittore Carmine Abate, che vive a Benesello in Trentino, dove insegna.
I luoghi del romanzo sono quelli di una Calabria assolata, il tempo ha il sapore denso dei lunghi giorni di fine giugno quando, conclusa ormai la scuola, i ragazzi di Spillace assaporano la libertà delle escursioni in campagna e non perdono occasione per ritrovarsi per una partita di calcio. Due sono i protagonisti inseparabili della storia: l’adolescente Carminú, che é anche la voce narrante, e poi lui, il grande fico: «Non si sapeva chi lo avesse piantato, forse il vento o un uccello, magari proprio una ghiandaia, aveva deposto un seme in quello spiazzo. Poi però lo aveva accudito il vicinato […] proteggendolo dalle capre con rami di ginestre spinose quando era una piantina tenera».
Attorno a questa pianta, che durante la narrazione viene quasi umanizzata - le sue foglie sembrano mani aperte - si sviluppa il libro. A partire da domani l’autore lo presenterà in Trentino-Alto Adige: domani alle 20.30 alla biblioteca comunale di Besenello, il 23 alla Piccola libreria di Levico Terme (ore 18), il 29 alla Ubik di Trento (ore 18), il 30 novembre a Ala Palazzo Pizzini (18.30), l’1 dicembre alla libreria Arcadia di Rovereto (ore 19), l’11 a Bressanone.
Carmine Abate con La collina del vento (Mondadori 2012) aveva vinto il Premio Campiello. Tra i suoi libri, tradotti in diverse lingue, il recente Le rughe
del sorriso (Mondadori 2018).
Abate, che cosa rappresentano nella sua narrativa i territori dell’infanzia?
«Sono i luoghi dell’incanto, dell’innocenza. Nonostante l’emigrazione di mio padre in Germania, la mia infanzia ha continuato a essere magica, felice. I bambini vedono le cose in modo diverso dagli adulti, il loro sguardo è molto simile a quello dei vecchi. Ad accomunarli è la capacità di sognare, di reinventare il mondo nel momento in cui lo vedono, ed è come apparisse loro nuovo ogni volta. Da questa visione scaturisce un contatto materico, quasi carnale con le cose, il paesaggio, gli alberi, gli animali».
Carminù e nonno Argentì condividono anche lo stesso forte legame con la natura
«Dal romanzo emerge infatti una natura intatta, piena di profumi. Una caratteristica che non è del tutto perduta, anche se dalla mia casa vedevo in passato il mare e la campagna che quasi vi precipitava dentro, mentre ora le pale eoliche, e non solo, hanno abbruttito il paesaggio. Nelle pagine però non c’è nostalgia per quel mondo che non c’è più, ma il suo racconto attraverso gli occhi di un bambino che cresce nel rispetto dell’ambiente, ecologista ante litteram».
Verso cosa si indirizza la battaglia del protagonista?
«Contro l’insensatezza del presente nel nostro rapporto con la natura, oggi sempre più in primo piano anche grazie a Greta, questa ragazzina che sta facendo aprire gli occhi a giovani come lei. Purtroppo molti luoghi sono stati distrutti per il ricatto del lavoro e della modernizzazione, spesso senza la contropartita di un adeguato sviluppo. Il libro affronta il tema dell’ambiente attraverso l’approccio incantato di un bambino».
Perché la scelta di rendere emblema la pianta del fico?
«Considero il fico una pianta straordinaria: innanzitutto fruttifica due volte all’anno, inoltre il frutto non va trattato e dura al massimo un paio di giorni. É a chilometro zero perché perde sapore con il trasporto e ha bisogno di quel bacio mattutino del sole per maturare. Soprattutto, é una pianta tenace, un po’ la metafora della resistenza della natura che gli uomini non riusciranno mai a distruggere completamente. Nonno Argentì sente che il fico gli dà grande energia, e seduto sulla sua sedia trascorre i pomeriggi al fresco della sua chioma verde. Il libro matura come il tempo dei fichi, dai fioroni a fine giugno fino al compimento del ciclo, e poi si spinge oltre. Mentre maturano i fichi cresce anche il bambino, e la narrazione approda così all’oggi. Una storia che portavo dentro da sempre».