La foresta che cambia e rischia di perdersi «Così proteggiamo la biodiversità»
Anche in Trentino conviviamo quotidianamente con l’erosione dell’ambiente naturale e per contrasto nella società odierna assistiamo alla mitizzazione della wilderness intesa come il regno della natura incontaminata. Eppure un ambiente montano sano, ricco di biodiversità e capace di fronteggiare gli eventi meteorologici più intensi non è il risultato dell’assenza dell’uomo, quanto piuttosto di un suo rapporto equilibrato con la natura. Questa convinzione è presente nel lavoro di diversi studiosi: tra questi Giovanni Giovannini, direttore del servizio foreste e fauna della Provincia di Trento, nonché autore del volume Paesaggi agroforestali in Trentino. Per secoli l’interazione tra uomo e natura ha svolto la sua funzione regolatrice nelle terre che dividevano i centri abitati dalle foreste e nelle aree coltivate o pascolate di montagna. «Era un ambiente molto vissuto, con il triplo degli animali che ci sono ora — spiega Giovannini — Oggi le persone che lavorano in montagna sono molte di meno, il che significa l’abbandono di determinati luoghi e la concentrazione delle attività in determinate zone».
Oggi quindi i prati, ma anche i castagneti, gli oliveti e i lariceti, le aree prative miste con alberi da frutto vivono sotto la crescente minaccia non solo dell’espansione delle aree urbane, ma anche dell’inselvatichimento dovuto all’abbandono delle attività agro-silvo-pastorali. La diminuzione di pascoli alberati e prati riduce lo spazio vivibile anche per la fauna selvatica, come nel caso di ungulati, lepri e uccelli rari come gallo cedrone e gallo forcello. «Se non si eseguono pulizia e manutenzione — spiega Giovannini— la foresta diventa un ambiente impenetrabile e conseguentemente povero di biodiversità». Inoltre la concentrazione degli animali in alcune zone prative impoverisce i terreni più accessibili, sottoposti a uno stress eccessivo. Lo sfruttamento intensivo ha effetti negativi a catena: «I prati madre facilitano lo sviluppo della biodiversità, dove si concima invece c’è una riduzione di orchidee e altri fiori». La riduzione delle specie vegetali limita inoltre la diffusione delle api e di altri animali di piccole dimensioni, che possono proliferare solo in un ambiente vario: un prato verde non è sinonimo di biodiversità. Anche i muretti a secco sono un’incredibile risorsa per molte piccole specie: l’abbandono dei terrazzamenti nelle zone boscate priva fauna e flora di un rifugio: «Nel corso del secolo scorso sono stati abbandonati i terreni più impervi perché non meccanizzabili come colture, ma quei ruderi e quei muretti che incontriamo ormai in pieno bosco ci raccontano di un territorio che viveva una presenza benefica dell’uomo». Le siepi sono ulteriori preziosi elementi, inseriti a dovere nel contesto naturale. Gli arbusti per esempio agiscono da barriera per i fitofarmaci e drenano il terreno in caso di pioggia limitandone l’erosione. Così oliveti e castagneti non solo abbelliscono e arricchiscono il paesaggio, ma le relative opere di confine possono diventare risorse per flora e fauna. Purtroppo, se gli olivi in Trentino hanno goduto quasi sempre di grande attenzione, i castagneti invece hanno patito un periodo di abbandono marcato conseguente al declino dell’attività contadina. Da risorsa economica e provvidenziale fonte di sostentamento alimentare in periodi di carestia, i castagni sono diventati sempre meno indispensabili. «Si rischia così di perdere nel breve esemplari che magari hanno 400500 anni».
Un paesaggio misto rappresenta lo scenario migliore: «La presenza di alberi nei prati permette di mantenere il terreno umido e parzialmente ombreggiato, un ambiente ideale per la fauna selvatica e non. Ovviamente lariceti e faggeti richiedono una manutenzione che al giorno d’oggi non può essere più demandata ai singoli privati, la manodopera legata a determinate attività si è ridotta molto: «Così la Provincia ha attuato un piano di recupero di alcune zone. Per esempio in Vallestrè (una zona di pascolo sul Monte Stivo, ndr) sono stati realizzati interventi per ridurre la quantità di pino mugo e scavare pozze d’abbeveraggio. È incredibile come semplici operazioni di questo tipo permettano alla fauna locale di ripopolare in breve tempo zone altrimenti abbandonate per carenza d’acqua e impraticabilità del terreno».
I vantaggi derivanti da una corretta gestione del patrimonio forestale non sono solo evidenti dal punto di vista economico: «Un bosco con troppa massa morta è più soggetto agli incendi e preda delle specie infestanti. In Provincia ci sono riserve integrali dove la natura ha spazio per la libera evoluzione, e boschi gestiti in maniera diversa. Un bosco impenetrabile, o troppo aperto, può essere preda di piante come l’ailanto, che in pochi anni è capace di distruggere gran parte della varietà di un ambiente». Il problema delle specie esotiche infestanti è di grande attualità e richiede altrettanta attenzione: «Il monte Brione (nel Garda Trentino, ndr) per esempio è un vero e proprio giardino, uno scrigno di biodiversità: sono presenti più di 500 specie. Insieme alla coltura degli olivi e della vite vengono preservati il leccio e tutta la flora mediterranea. Se le colture venissero abbandonate, nel giro di nemmeno cinque anni perderemmo gran parte di questa varietà. È incredibile apprendere quanto siano veloci le specie infestanti a colonizzare un terreno. Con un grande lavoro in Provincia lavoriamo per il mantenimento di un equilibrio delicato».
"Giovanni Giovannini La Provincia di Trento ha adottato in Piano di recupero. Semplici operazioni permettano alla fauna locale di ripopolare in poco tempo zone altrimenti abbandonate