UN ERRORE IL PRESEPE USA E GETTA
Come prevedibile e in perfetta linea con i tempi sempre più precoci dello sfruttamento consumistico del Natale anche quest’anno alcune giunte hanno pensato bene che fare o meno il presepio a scuola (o in altre istituzioni pubbliche) sia una questione che non possa sfuggire al loro controllo. La palma del primo posto spetta all’assessore all’istruzione della Regione Piemonte; il presidente della Provincia di Trento arriva secondo. Arrivare secondi, in questo caso, è stata però una manna, perché Fugatti ha potuto avvalersi, con una certa spregiudicatezza, delle parole appassionate con le quali papa Francesco, in visita a Greccio (dove san Francesco diede vita al primo presepio che si ricordi) ha auspicato che questa tradizione non venga fatta cadere. «Lo dice anche il papa» ha dichiarato il governatore e tanto basti per insistere nell’azione di rimettere le cose al loro posto, preannunciando una nuova circolare a tutte le scuole. Peccato che il messaggio lanciato dal pontefice abbia altre finalità. Le ragioni del governatore, probabilmente in continuità con quelle già espresse in passato, individuano nel presepio una sorta di baluardo identitario, simbolo utile a presidiare una ricorrenza canonica, a consolidare facili consensi, a favorire una narrazione addomesticata dell’essere cittadini trentini. Nelle parole del papa, riportate con chiarezza da molti giornali, non c’è nulla di tutto ciò.
Il pontefice invita a cogliere nel presepio i profondi significati originari (le condizioni difficili della nascita di Gesù, uno stupore quasi magico che abbraccia il contesto, un sentimento di uguaglianza e semplicità, ecc.) che non solo illustrano una scelta di fede, ma spingono tutti, credenti o meno, a riflettere sul nostro modello di vita, sui nostri egoismi, sul rischio che un’insistita e indefessa mercificazione ci privi della necessaria umanità. E nel perorare una rinnovata attenzione verso il presepio, si raccomanda di evitare ogni strumentalizzazione.
Per questo le scuole non hanno bisogno di una nuova circolare, di un ulteriore intervento paternalistico o peggio. Hanno capacità e esperienza sufficienti per amministrare con sensibilità e intelligenza anche momenti e scadenze importanti come può essere il Natale, nel rispetto di tutti. Sarebbe ora che chi governa dimostrasse misura e sobrietà. Ciò non vuol dire negare il senso di un’esperienza. Ma gli amministratori, per acquisire autorevolezza, dovrebbero sapere dove possono spingersi e dochi ve invece fermarsi. E nel caso in questione dovrebbero lasciare alla responsabilità di ciascuno (famiglia, scuola, istituzioni ecc.) la scelta di fare o non fare il presepio. In questo senso, può aiutare il bel saggio di Maurizio Bettini (docente di Filologia classica a Siena) «Il presepio», uscito giusto un anno fa.
La sua lettura è preziosa, non solo per l’ampiezza e la pertinenza dei riferimenti storici e dei testi. Ma anche perché, senza creare barriere, spiega perché il presepio è questione che chiama in causa chi ha fede, chi non crede, è indifferente. E perché, nel raccontarci con nostalgia come da bambino partecipava alla costruzione del presepio, ci mostra un aspetto di quel momento forse perduto irrimediabilmente, quando l’infanzia poteva valersi di quelle emozioni indispensabili per crescere: il senso dell’attesa, il mistero che tutto avvolgeva, i gesti nascosti dei genitori, lo stupore infine. Tutto ciò oggi è difficile da ripristinare, perché i processi di svelamento sono precoci, veicolati dalla pubblicità e dai modi di comunicazione odierni; e perché gli affanni della vita quotidiani degli adulti e talora le loro proiezioni incidono in maniera evidente sull’età evolutiva, con anticipazioni e accelerazioni che riducono i tempi dell’infanzia e dilatano quelli dell’adolescenza. Se non abbiamo cura di simili accidenti, il presepio non potrà essere altro che un simulacro usa e getta, orpello dettato dal calendario e confuso con le tante altre effimere seduzioni di un evento trasformato in merce. Su questi aspetti sarebbe utile ragionare, tutti, con calma e senza pregiudizi.