Il ritorno delle principesse, restaurata l’opera del 1534
L’opera ritrae le figlie di Ferdinando d’Asburgo nel loro destino di spose e suore
Elisabetta, Anna, Maria, Maddalena, Caterina, le cinque figlie di Ferdinando d’Asburgo re dei Romani e futuro imperatore, da domani abiteranno di nuovo gli spazi del Castello del Buonconsiglio. Cinque bambine, anzi cinque principesse - Elisabetta, la più grande, viene immortalata nel dipinto quando ha otto anni, mentre Caterina, la più piccola, quando non ne ha ancora uno – accoglieranno infatti i visitatori nel Magno Palazzo, protagoniste della mostra «Il ritorno delle principesse. Un dipinto di Jakob Seisenegger», che sarà inaugurata domani alle 17.30.
Al termine di un accurato restauro, effettuato dalla Soprintendenza per i Beni culturali di Trento, l’esposizione - curata da Lia Camerlengo insieme con Francesca de Gramatica, Alessandro Pasetti Medin e Francesca Raffaelli - celebra la restituzione al pubblico dell’importante dipinto, realizzato nel 1534 dall’artista di corte Jakob Seisenegger.
Una preziosa occasione per indagare la storia delle piccole principesse, nel gioco politico delle dinastie europee, per approfondire il ruolo del principato trentino nello scacchiere internazionale in un momento storico cruciale, e per riscoprire un pittore insigne, che fu contemporaneo e contendente di Tiziano.
Vestite con identici abiti sontuosi in velluto rosso granata, bionde, con coroncine rosse sui capelli, «Elisabetta stringe nella sinistra un anello d’oro, anticipazione del matrimonio che si sarebbe celebrato al compimento dei suoi sedici anni, nel 1543 – spiega la curatrice Camerlengo -. Anna, designata sin da piccola per il trono di Baviera, protende il braccio verso la madre, di cui condivide il nome e il futuro nuziale. Il destino coniugale della piccola Maria è annunciato invece dalla sua piccola bambola, abbigliata, a colori contrapposti, come la giovane proprietaria, mentre un mazzolino di viole allude al candore delle cinque bambine, ma più specificamente alla vita religiosa cui alcune di loro erano indirizzate».
In realtà, il dipinto costituiva una delle quattro grandissime tavole, alte due metri ciascuna, di una struttura a polittico collocata all’entrata dell’appartamento
privato del principe vescovo di Trento Bernardo Cles. Un’immagine fortemente simbolica, una sorta di altare profano, documentato in quella sala sin dalla sua realizzazione, e qui rimasto fino agli inizi dell’Ottocento. Dopo la secolarizzazione del principato, infatti, l’antica sede vescovile del Buonconsiglio venne svuotata dei suoi arredi, in parte trasferiti nel palazzo episcopale. Del pregevole insieme oggi rimane solo la tavola che ritrae le cinque principesse.
Fino all’8 marzo 2020, due stanze del castello, Sala delle udienze e Stua delle figure, ospiteranno un focus che pone al centro il dipinto: nella prima sala ci sarà l’opera di Seisenegger, in quella a fianco se ne racconterà il complesso restauro. Non mancherà una breve suggestione storica, che proporrà le testimonianze dell’epoca sul dipinto, in particolare l’ottava che Pietro Andrea Mattioli, consigliere e medico personale di Bernardo Cles, gli dedica all’interno del poema Il
Magno Palazzo del Cardinale di Trento, pubblicato nel 1539.
Accanto a quelli di Mattioli, ci saranno anche i versi di Giano Pirro Pincio, poeta cesareo studioso e docente alla corte di Francesco Gonzaga, che nel 1536 è a Trento in veste di cronista e biografo clesiano. Inserisce la descrizione degli eventi nel suo De Gestis Ducum Tridentinorum, dato alle stampe a Mantova nel 1546.
«Di sua statura, di vivi gesti umani»: sono le stesse parole di Mattioli «a dar conto del carattere saliente dei dipinti, effigi a figura intera, di singolare veridicità – spiega la curatrice -. Si tratta di una delle precoci apparizioni a sud delle Alpi
Il lavoro
Il quadro, composta da sette tavole di pero, è stato oggetto di un complesso recupero della Soprintendenza. Mobilità del legno e fragilità della pellicola pittorica sono state indagate
della ritrattistica aulica di matrice nordica, che rivoluzionò l’arte del Cinquecento italiano in questo genere di rappresentazione. Le opere si legano al nome di uno degli indiscussi protagonisti della pittura tedesca di quel momento, Jakob Seisenegger, l’artista di corte di Ferdinando d’Asburgo».
Una tavola importantissima quella presente al Buonconsiglio, perché rimane l’unica testimonianza in Italia di questo pittore, specialista di ritratti in un momento in cui la ritrattistica nordica rivestiva un ruolo essenziale nella costruzione di un linguaggio europeo.
«Il dipinto, composto da sette tavole di pero, è stato oggetto di un complesso restauro della Soprintendenza, preceduto da una fase di monitoraggio. Mobilità del legno e fragilità estrema della pellicola pittorica sono state a lungo indagate», conclude Camerlengo.