Una ricerca di «For Alps» indaga il ruolo dei migranti nei paesini d’alta quota: «Decisivi nelle piccole comunità remote»
Le Alpi: luogo montano ostico a causa della conformazione geografica e, al bisogno, ottimo rifugio per chi vuole trovare una comunità disposta all’accoglienza. Sul tema della migrazione, queste due visioni sono in contrapposizione o possono convivere? Per rispondere a questa domanda si può interrogare il libro Alpine Refugees, una ricerca accademica che coinvolge 38 esperti che provengono dall’università, dai centri di ricerca alpini e dalle operazioni sul campo. Lo studio proviene dalle ricerche del network internazionale «ForAlps - Foreign immigration in the Alps». Il libro, invece, è stato finanziato da Euricse, istituto europeo con sede a Trento che studia cooperative e imprese sociali, il Cantone dei Grigioni e l’Istituto BAB di Vienna. Alla ricerca ha contribuito anche lo studioso Andrea Membretti dell’Eurac Research di Bolzano, il quale è anche uno dei curatori del volume e coordinatore di «ForAlps».
Il libro, pubblicato dalla casa editrice accademica Cambridge Scholars Publishing, propone una visione alternativa della questione migratoria in Europa. I ricercatori hanno indagato l’apporto che danno i migranti alle zone montane di Italia, Austria e Svizzera. Oggetto di studio sono sia i migranti economici, sia i richiedenti asilo e i rifugiati.
«Il lavoro è stato complesso, abbiamo coinvolto molti autori, con diversi approcci disciplinari — dice Giulia Galera, ricercatrice di Euricse e curatrice del libro —. Con un filo conduttore: quello che emerge è che il fenomeno migratorio può essere gestito con buon senso e può dare un contributo reale allo sviluppo dei territori ospitanti». Secondo la ricercatrice, i migranti possono soprattutto rispondere ad alcuni bisogni dei territori che hanno subito crisi occupazionali e demografiche. «Fattori di natalità e mortalità, insieme all’emigrazione, causano problemi demografici. L’Alto Adige non ha un problema di questo tipo ma altri territori sì. Da alcuni territori i giovani scappano e così mancano servizi e manodopera», continua Galera.
Quello che emerge, quindi, dagli studi dei ricercatori del network di «ForAlps», è che i migranti possono contribuire alla rigenerazione di alcuni territori montani, attraverso la valorizzazione sia delle competenze «formali», sia delle competenze «informali», anche di persone poco scolarizzate. L’apporto, infatti, può riguardare il lato economico ma anche il lato socio-culturale. «La vera sfida è gestire questo fenomeno in maniera oculata. Quello che abbiamo visto è che molte persone - conclude la curatrice - decidano poi di mettere radici in territori remoti, dai quali molti abitanti scappano. Ci sono anche esempi virtuosi».
Ma cosa succede in Alto Adige, che cosa si rileva dal punto di vista economico e dal punto di vista dell’accoglienza? «Noi ci siamo concentrati su una provincia che è un po’ tra le ultime nell’accoglienza dei migranti a livello numerico, soprattutto dei richiedenti asilo e dei rifugiati - dice Andrea Membretti -. Questo però è cambiato negli ultimi due anni, come argomentiamo, attraverso il modello Sprar, che ha portato una maggiore presenza di rifugiati nelle valli dell’Alto Adige. Abbiamo una presenza più significativa nei progetti di inserimento lavorativo e sociale. Modello che, però, è stato messo in discussione negli ultimi tempi. Molte persone vanno di nuovo verso le città, invece che nei comuni più piccoli. Vediamo questo come un punto critico. Pensiamo che l’accoglienza diffusa in Alto Adige sia un elemento molto importante». La ricerca di Alpine Refugees, però, non si concentra solo sulla presenza di migranti sull’immediato presente, ma viene tracciata anche una presenza “storica” di fenomeni migratori extra-europei verso la provincia. «Da 15-20 anni i migranti sono un elemento importante dell’economia locale», spiega sempre Membretti: «Molta manodopera nel settore del turismo è composta da migranti, provenienti da paesi europei che sono diventati nuovi membri, dai Balcani, sempre di più anche dal Nord Africa. Hanno un ruolo importante anche nell’economia agricola e nei servizi, nella cura degli anziani e nei servizi alla persona», conclude il curatore.