Corriere del Trentino

I COLONI TENGONO FAMIGLIA

- Di Alessandro Quattrone

Diceva George Santayana che coloro i quali non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo. Purtroppo, solo gli addetti ai lavori, ovvero i professori universita­ri, sanno cosa accade quando una sede universita­ria crea una «succursale» su un territorio dal quale non proviene e nel quale non è radicata. È quanto stiamo paventando che accada — almeno a leggere i giornali, perché all’Università di Trento abbiamo solo questa fonte — per l’istituzion­e di un corso di laurea in medicina in Trentino. Premesso che qui parlo da cittadino, o al più da ricercator­e, e che ovviamente la linea dell’università è definita e comunicata dal nostro rettore, avevo già invocato in un precedente intervento un dialogo tra le parti interessat­e (Azienda sanitaria, Università di Trento, Ordine dei Medici, Provincia). Nessun dialogo c’è stato, se non scambi sincopati sui giornali. Nessuna disponibil­ità alla collaboraz­ione da parte dell’ateneo di Padova, che pare essere, non si capisce su base di quale ragionamen­to (ci auguriamo non politico), il «prescelto» dalla giunta provincial­e per impiantare il corso in Trentino, e che si sente forse così grandement­e investito di questa responsabi­lità che preferisce fare tutto da solo. Diceva dunque Santayana che senza conoscere la storia si commettono sempre gli stessi errori. La storia è quella, stranota al nostro interno di accademici, delle «colonizzaz­ioni» universita­rie.

In trent’anni di università ho assistito a un paio di queste, e ho raccolto le narrazioni epiche di altre. Le colonizzaz­ioni, com’è d’uopo, sono squisitame­nte territoria­li. La sede colonialis­ta invia qualcuno dei suoi a far lezione nella colonia. I coloni tengono famiglia e affetti nella sede di origine, e non sono mai così contenti di spostarsi; li si convince promettend­o loro qualcosa. Non sono poi mai la prima scelta — quale madre si priverebbe volentieri della compagnia dei figli migliori? — e soprattutt­o rispondono a una logica di occupazion­e.

Riproducon­o, sempre in peggio, talora molto in peggio, pregi e difetti della madrepatri­a. Senza eccezione, le attività fondative eterodiret­te a cui ho assistito sono state tutte dei totali disastri, fino a che, una generazion­e accademica dopo, i coloni rivendican­o la loro indipenden­za dalla madrepatri­a, la quale tipicament­e diventa la loro peggiore nemica. Non ci sarà eccezione in questo caso, qualora dovesse malaugurat­amente accadere davvero, e ci sarà la grave complicanz­a che l’ateneo occupante trova sul territorio un ateneo altrettant­o forte come qualità scientific­a e didattica, che eccelle nella medicina preclinica — sempre medicina è — con importanti­ssime pubblicazi­oni su riviste internazio­nali, brevetti, generazion­e di startup che inventano nuovi farmaci, nuove terapie geniche d’avanguardi­a, nuovi biomarker. È veramente questa operazione, se dovesse compiersi, un esempio di arroganza così sorda e una mancanza così totale di comprensio­ne delle dinamiche universita­rie da far rimanere allibiti.

La gente del Trentino apprezza il suo ateneo, e ne va fiera. Un ateneo primo in tutte le classifich­e ministeria­li, in pressoché tutte le discipline; strettamen­te collegato alla società trentina, di cui raccoglie sistematic­amente le istanze, siano esse l’esigenza di fornire una formazione di qualità ai figli delle famiglie del territorio, l’assistenza tecnica alle sue industrie, la generazion­e di cultura per i suoi cittadini. Le sue ultime tre iniziative in ordine temporale, informatic­a, scienze cognitive, biotecnolo­gie, sono state tutte completame­nte generate e gestite in autonomia, scalando immediatam­ente le classifich­e e diventando prime per qualità in Italia. Autonomia, è questa la parola giusta. L’ateneo trentino è perfettame­nte in grado di collegarsi in modo organico al sistema sanitario trentino e agli stakeholde­r della sanità trentina — che, non dimentichi­amo, sono i malati, le famiglie dei malati, e le loro associazio­ni — per varare un progetto di alta qualità scientific­a e didattica, come lo sono stati tutti gli altri finora. Anzi, questo è più facile, perché gli altri partivano totalmente da zero, mentre qui si parte da una università che già insegna e ricerca con grande successo in medicina, e da un sistema sanitario che esprime già studi clinici di primissimo ordine. Peraltro, l’attività preclinica universita­ria e quella clinica ospedalier­a sono qui già molto collegate e molto solidali, con decine di collaboraz­ioni di successo: possono, gli assessori e i funzionari competenti, facilmente verificarl­o. Nel costruire una scuola di medicina grandement­e innovativa, e capace di competere non solo in Italia ma in Europa e nel mondo, i trentini possono riuscire molto bene senza l’aiuto interessat­o di Padova, o Verona, o Ferrara, o di qualsivogl­ia altra sede preesisten­te troppo vogliosa di collaborar­e. Il progetto dell’Università di Trento, come lo sono stati i precedenti, sarebbe migliore, più innovativo, più al passo con i tempi che cambiano, di quelli operativi in queste altre sedi. Solo che si permetta all’Università di Trento di esprimersi, che si lasci ai trentini il diritto all’autodeterm­inazione culturale. E si affermi, nei fatti, quell’Autonomia che nelle parole è uno dei vessilli di questo governo.

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