I COLONI TENGONO FAMIGLIA
Diceva George Santayana che coloro i quali non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo. Purtroppo, solo gli addetti ai lavori, ovvero i professori universitari, sanno cosa accade quando una sede universitaria crea una «succursale» su un territorio dal quale non proviene e nel quale non è radicata. È quanto stiamo paventando che accada — almeno a leggere i giornali, perché all’Università di Trento abbiamo solo questa fonte — per l’istituzione di un corso di laurea in medicina in Trentino. Premesso che qui parlo da cittadino, o al più da ricercatore, e che ovviamente la linea dell’università è definita e comunicata dal nostro rettore, avevo già invocato in un precedente intervento un dialogo tra le parti interessate (Azienda sanitaria, Università di Trento, Ordine dei Medici, Provincia). Nessun dialogo c’è stato, se non scambi sincopati sui giornali. Nessuna disponibilità alla collaborazione da parte dell’ateneo di Padova, che pare essere, non si capisce su base di quale ragionamento (ci auguriamo non politico), il «prescelto» dalla giunta provinciale per impiantare il corso in Trentino, e che si sente forse così grandemente investito di questa responsabilità che preferisce fare tutto da solo. Diceva dunque Santayana che senza conoscere la storia si commettono sempre gli stessi errori. La storia è quella, stranota al nostro interno di accademici, delle «colonizzazioni» universitarie.
In trent’anni di università ho assistito a un paio di queste, e ho raccolto le narrazioni epiche di altre. Le colonizzazioni, com’è d’uopo, sono squisitamente territoriali. La sede colonialista invia qualcuno dei suoi a far lezione nella colonia. I coloni tengono famiglia e affetti nella sede di origine, e non sono mai così contenti di spostarsi; li si convince promettendo loro qualcosa. Non sono poi mai la prima scelta — quale madre si priverebbe volentieri della compagnia dei figli migliori? — e soprattutto rispondono a una logica di occupazione.
Riproducono, sempre in peggio, talora molto in peggio, pregi e difetti della madrepatria. Senza eccezione, le attività fondative eterodirette a cui ho assistito sono state tutte dei totali disastri, fino a che, una generazione accademica dopo, i coloni rivendicano la loro indipendenza dalla madrepatria, la quale tipicamente diventa la loro peggiore nemica. Non ci sarà eccezione in questo caso, qualora dovesse malauguratamente accadere davvero, e ci sarà la grave complicanza che l’ateneo occupante trova sul territorio un ateneo altrettanto forte come qualità scientifica e didattica, che eccelle nella medicina preclinica — sempre medicina è — con importantissime pubblicazioni su riviste internazionali, brevetti, generazione di startup che inventano nuovi farmaci, nuove terapie geniche d’avanguardia, nuovi biomarker. È veramente questa operazione, se dovesse compiersi, un esempio di arroganza così sorda e una mancanza così totale di comprensione delle dinamiche universitarie da far rimanere allibiti.
La gente del Trentino apprezza il suo ateneo, e ne va fiera. Un ateneo primo in tutte le classifiche ministeriali, in pressoché tutte le discipline; strettamente collegato alla società trentina, di cui raccoglie sistematicamente le istanze, siano esse l’esigenza di fornire una formazione di qualità ai figli delle famiglie del territorio, l’assistenza tecnica alle sue industrie, la generazione di cultura per i suoi cittadini. Le sue ultime tre iniziative in ordine temporale, informatica, scienze cognitive, biotecnologie, sono state tutte completamente generate e gestite in autonomia, scalando immediatamente le classifiche e diventando prime per qualità in Italia. Autonomia, è questa la parola giusta. L’ateneo trentino è perfettamente in grado di collegarsi in modo organico al sistema sanitario trentino e agli stakeholder della sanità trentina — che, non dimentichiamo, sono i malati, le famiglie dei malati, e le loro associazioni — per varare un progetto di alta qualità scientifica e didattica, come lo sono stati tutti gli altri finora. Anzi, questo è più facile, perché gli altri partivano totalmente da zero, mentre qui si parte da una università che già insegna e ricerca con grande successo in medicina, e da un sistema sanitario che esprime già studi clinici di primissimo ordine. Peraltro, l’attività preclinica universitaria e quella clinica ospedaliera sono qui già molto collegate e molto solidali, con decine di collaborazioni di successo: possono, gli assessori e i funzionari competenti, facilmente verificarlo. Nel costruire una scuola di medicina grandemente innovativa, e capace di competere non solo in Italia ma in Europa e nel mondo, i trentini possono riuscire molto bene senza l’aiuto interessato di Padova, o Verona, o Ferrara, o di qualsivoglia altra sede preesistente troppo vogliosa di collaborare. Il progetto dell’Università di Trento, come lo sono stati i precedenti, sarebbe migliore, più innovativo, più al passo con i tempi che cambiano, di quelli operativi in queste altre sedi. Solo che si permetta all’Università di Trento di esprimersi, che si lasci ai trentini il diritto all’autodeterminazione culturale. E si affermi, nei fatti, quell’Autonomia che nelle parole è uno dei vessilli di questo governo.