Migranti, atto d’accusa della Curia
Rifugiati, Piazza Dante taglia 50 posti. La Chiesa chiedeva un incontro: è stata snobbata
Nessun passo indietro da parte della giunta provinciale sul taglio di altri cinquanta posti per i rifugiati. La decisione, presa a dicembre, che ha visto ridursi i migranti accolti nell’ambito del progetto Siproimi (ex Sprar) dagli attuali 132 a 83, era stata mal digerita anche dalla Diocesi. Che aveva chiesto un incontro a Piazza Dante prima che la decisione fosse comunicata al ministero, il 13 gennaio. Famiglie radicate rischiano di dover fare ora le valige.
TRENTO A fine anno le voci di un possibile taglio dei posti per l’accoglienza dei rifugiati — non dei richiedenti asilo, bensì di coloro a cui è stato riconosciuto il diritto della protezione — ha messo in allarme tutti gli enti che in Trentino si occupano di immigrazione. Anche la diocesi, che ha deciso di inviare una lettera all’attenzione del governatore Fugatti in cui esprimeva «preoccupazione» per le intenzioni della giunta e in cui chiedeva un «incontro urgente» per discutere la questione.
Questo succedeva poco prima di Natale, e la speranza era quella che prima della decisione definitiva ci potesse essere un approfondimento. Speranza disattesa, perché il 20 dicembre la giunta provinciale, su proposta proprio del governatore Maurizio Fugatti — a conoscenza della richiesta della diocesi —, deliberava di ridurre da 132 a 83 i posti a disposizione nell’arco dei prossimi 6 mesi del sistema Siproimi (ex Sprar). Il Siproimi è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. A livello territoriale gli enti locali, e realtà del terzo settore, garantiscono interventi di accoglienza integrata che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento.
L’ultimo spazio di manovra era possibile nei primi giorni dell’anno, entro il 13 gennaio, data entro la quale sarebbe stata comunicata al ministero la decisione assunta dalla giunta, ma i giorni sono passati senza la convocazione di alcun incontro: la giunta aveva deciso, nessun passo indietro.
Oltre al disappunto per lo sgarbo «istituzionale», la preoccupazione espressa dalla diocesi aumenta, anche perché la scure che si è abbattuta sull’accoglienza dei rifugiati è pesante: nelle previsioni della giunta — rese operative dal Cinformi — decine di persone dovranno da un giorno all’altro fare le valigie per essere trasferite in altre realtà italiane, lasciando tutto quello che in anni di permanenza sul territorio avevano costruito. Famiglie intere con figli a carico: figli che vanno a scuola, padri che in Trentino hanno trovato lavoro, madri che hanno avviato percorsi psicologici per riuscire a superare i traumi delle violenze — anche sessuali — subite durante la fuga dai teatri di guerra. Perché, sottolineano gli operatori dei servizi, non si tratta di richiedenti asilo, di persone in attesa di conoscere l’esito delle verifiche per l’ottenimento dello status di rifugiato. Si tratta di rifugiati riconosciuti nel loro diritto di permanere sul territorio nazionale perché vittime di violenza, in fuga dalla guerra. Rifugiati accolti senza nessun onere da parte della Provincia di Trento, perché l’accoglienza — gestita sul territorio — è pagata direttamente dallo Stato. E la diminuzione dei posti a disposizione non porta a nessun risparmio nemmeno per l’erario nazionale, che deve comunque spostare in altre realtà i «deportati» (termine usato dagli operatori per definire i migranti colpiti dalla decisione della giunta). Si tratta — scrive anche Vita Trentina nell’ultimo numero in edicola — «proprio di quelli che Fugatti chiama “veri profughi” per i quali a suo tempo aveva garantito il servizio, cioè quanti hanno ottenuto il riconoscimento di rifugiato, o minori stranieri non accompagnati». Di fronte a una decisione che non ha motivazioni legate alla riduzione della spesa, al risparmi di risorse, il dubbio degli operatori — e a quanto pare anche della diocesi — è che l’obiettivo sia soltanto quello di «allontanare dal territorio chiunque sia straniero, anche se è acclarato che scappa dalla guerra e dalla violenza».
Nel mirino Penalizzati coloro che hanno ottenuto la protezione. Coinvolti anche bambini