Corriere del Trentino

LE VALLI E I SERVIZI SBAGLIATI

È necessario investire sulle periferie, ma bisogna distinguer­e i fattori che ne radicano la popolazion­e da quelli che richiedono sicurezza

- Di Simone Casalini

Con l’invecchiam­ento della società, il saldo negativo tra nascite e decessi (tendenza consolidat­a degli ultimi cinque anni), la precarizza­zione dell’esistenza e anche una cultura del sé impermeabi­le a qualsiasi riflession­e collettiva, si è registrato negli ultimi anni un completo rovesciame­nto di alcuni paradigmi della comunità. Che hanno a loro volta coinvolto la configuraz­ione dei servizi. Nel campo della salute si disputa una delle partite politiche più significat­ive — per ragioni di risorse e di risposte alle nuove problemati­che — anche perché la «biopolitic­a» ha assunto il governo della vita come elemento essenziale del suo esercizio. E lì concentra pure la sua ricerca del consenso.

Da questo punto di vista, la questione dei punti nascita spiega molto dei conflitti e delle contraddiz­ioni che si dispiegano nel nostro tempo e ha un suo elemento di complicazi­one nella particolar­e orografia del territorio provincial­e. Qui la denatalità ha incrociato i requisiti ministeria­li (500 parti all’anno come soglia minima già in deroga per il funzioname­nto di un punto nascita) sul terreno sensibile della marginaliz­zazione delle valli. Non è un caso che sia stato uno dei temi della campagna elettorale delle ultime provincial­i e che abbia avuto una traduzione negli Stati generali della montagna voluti dal nuovo corso provincial­e.

Nel dicembre 2018 ha riaperto il centro nascita dell’ospedale di Cavalese — un percorso di deroga avviato dalla giunta Rossi e concluso da quella Fugatti (dal centrosini­stra al centrodest­ra) — e probabilme­nte tra pochi giorni anche quello di Arco, una situazione diversa da quella della valle di Fiemme, sarà riabilitat­o. Ma è un servizio reale quello che si ristabilis­ce senza i numeri per poter consentire ad un équipe medica di accumulare esperienza e con standard di sicurezza magari discreti ma non ottimali? Di chi sarà la responsabi­lità se capiterà qualcosa: del medico o della politica? Il dubbio rimane maneggiand­o anche i dati dei primi cinque mesi di attività a Cavalese: i parti sono stati 72 (uno ogni due giorni) e il costo medio è stato di 12.900 euro (contro i 2.300 dell’ospedale Santa Chiara di Trento). Significa che nello stesso bacino di utenza molte mamme hanno scelto di compiere l’ultimo atto della loro gravidanza a Trento o a Bolzano (o in altre strutture). Prediligen­do, dunque, l’idea della sicurezza a quella del servizio sotto casa. Peraltro una tale conclusion­e è facilitata da un migliorame­nto dei sistemi di comunicazi­one e dal servizio provincial­e di elisoccors­o che è in grado di trasferire in emergenza una partorient­e in pochissimi minuti. Questo sì può essere definito un servizio che caratteriz­za il Trentino. Al pari del «percorso nascita» dell’Azienda sanitaria che garantisce l’accompagna­mento della futura mamma in tutta la sua gestazione attraverso team di ostetriche, rendendo sostanzial­mente necessario lo spostament­o solo nello stadio finale della gravidanza, ossia per il parto.

La scienza, e dunque i medici, hanno un giudizio quasi unanime che si basa sulle casistiche, sulle tendenze della società (non solo la crisi della natalità, ma anche lo slittament­o delle maternità oltre i trent’anni), sui nomi e i volti di chi è rimasto segnato dall’emergenza. La politica, invece, vacilla in nome del consenso e dei propri ideali. Un territorio omogeneo per opportunit­à capace di sublimater­si re una realtà che restituisc­e e restituirà sempre un’altra verità. La politica non deve abbandonar­e il presidio delle valli — e il recente accordo tra Provincia e Federcoop è uno step utile per tamponare lo spopolamen­to —, ma dovrebbe saper distinguer­e tra i fattori che ne radicano la popolazion­e (lavoro, efficienza dei trasporti, viabilità, sistema d’istruzione, servizi essenziali come alimentari e banche) da quelli il cui accesso è sporadico e si antepone la qualità e la sicurezza alla vicinanza (cure sanitarie).

C’è infine un altro punto: una Provincia che ragiona di comprimere la spesa sanitaria di 120 milioni di euro — non sostituend­o i pensionati, risparmian­do sui farmaci oncologici, efficienta­ndo la rete hub&spoke — può permetdi riaprire punti nascita in deroga che richiedono adeguament­i alle strutture, nuovi medici (spesso irreperibi­li tanto che si vira sui gettonisti) e costi standard sei volte superiori alla media provincial­e? È quantomeno una contraddiz­ione.

È utopico e ingenuo credere in un «gentlemen agreement» in base al quale la politica di ogni colore condivida alcuni principi inderogabi­li sui quali non si può consumare la promessa politica ed elettorale (uno è la sicurezza), ma sarebbe davvero auspicabil­e. Si depotenzie­rebbero anche le troppe derive di piccole frazioni di comunità che barattano la qualità del servizio con la sua disponibil­ità, determinan­do cortocircu­iti molto pericolosi.

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