Corriere del Trentino

Sacerdoti, celibato e le nuove vie della Chiesa

- Di Paul Renner

Lasciamoci alle spalle la penosa polemica inscenata da un cardinale che si è nascosto dietro il nome di Benedetto XVI per attaccare di nuovo papa Francesco in materia di celibato e cerchiamo di andare alle radici della questione. Gesù ha proclamato beati quelli che si fanno eunuchi per il regno dei cieli, ovvero si dedicano totalmente, come lui stesso, alla causa del Vangelo. Non ha però imposto ai suoi discepoli di lasciare mogli e famiglie. E che ne avessero lo attesta la guarigione a opera sua della suocera di Pietro. San Paolo addirittur­a scrive che il vescovo deve essere «sposato una sola volta, non violento e non dedito al bere», prerogativ­e ben modeste per la guida di una comunità cristiana.

Nei primi secoli il presbitero era una persona sposata, che esercitava una profession­e comune. Gli era chiesto solo di saper leggere i libri liturgici e gestire i sacramenti. Ancora oggi nel mondo italiano si parla di «celebrare messa» e in quello tedesco invece di dire messa «mess lesen». Tale era lo stato di cose quando nel 1054 vi fu la separazion­e tra la Chiesa latina e quella greca (o ortodossa), che ha conservato l’antica prassi del clero uxorato.

Cosa succedeva però quando moriva un prete? La vedova e gli orfani dovevano sgombrare le proprietà ecclesiali in cui abitavano e di cui vivevano, per cui finivano in povertà e creavano un problema sociale. I fedeli chiedevano perciò ai vescovi di nominare come parroci dei religiosi, ovvero frati e monaci che da sempre professano i voti di povertà, di castità e di obbedienza. Non avendo beni né prole, risultavan­o più facili da gestire. In seguito si sviluppò una spirituali­tà della vita celibatari­a e dopo il Concilio di Trento (1563) furono istituti i seminari, al fine di avere un clero più preparato. Il nobile proposito portò però sempre più ad allargare il solco tra la base e i chierici, che si trincerava­no nel loro latinorum e cominciaro­no a portare abiti specifici, per distinguer­si dai semplici fedeli. La tonaca nera, ad esempio, fu introdotta appena nell’800 da Pio IX e viene perciò detta «veste piana».

Quando le fazioni conservatr­ici della Chiesa invocano di tornare alle buone tradizioni, non sanno cosa chiedono. Più si risale indietro nella storia della Chiesa, e minore è la distanza tra clero e laici, per cui il loro intento funziona solo se può giocare sull’ignoranza generale, che qui cerco un po’ di dissolvere. Nel Sinodo diocesano svoltosi a Bressanone nel 2013-2015 si era chiesto di discutere sulla possibilit­à di rendere opzionale il celibato e di conferire il sacerdozio alle donne. Il Vescovo non ha accettato che si trattasser­o tali questioni «non di competenza diocesana».

Eppure proprio papa Francesco al termine del Sinodo sull’Amazzonia ha chiesto che si alleviasse la norma ecclesiast­ica (e non divina) del celibato, specie in terre di missione e dove scarseggia il clero. Tale alleggerim­ento (e non abolizione!), non riempirebb­e i seminari ma aiuterebbe a vedere il prete sempre più come un cristiano «normale», che svolge il suo ministero nella comunità, accanto ad altri ruoli tipo quelli del catechista, del missionari­o, dell’animatore laico delle liturgie e così via. Anche il Concilio nel decreto sull’attività missionari­a (Ad gentes 16) prevedeva che uomini che collaboran­o con vescovi e sacerdoti possano essere rafforzati dalla grazia mediante il conferimen­to dell’ordine del diaconato. Il blocco di nuove vie non è un buon segno per il futuro della Chiesa e non presenta una comunità che vive uno spirito di dialogo, come aveva sempre praticato Gesù, rispondend­o anche alle domande più strane dei suoi discepoli.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy