Corriere del Trentino

IL RUOLO DEI PARTITI E UN PRESENTE DIFFICILE

CRAXI,

- Di Lorenzo Passerini * * Dottore commercial­ista, già consiglier­e della Comunità Vallagarin­a

Ilventesim­o anniversar­io della morte di Bettino Craxi sembra stia diventando una buona occasione di discussion­e pubblica, oltreché sulla sua figura, sulla storia della Prima Repubblica e sulla sua drammatica conclusion­e. Quella dal dopoguerra fino ai primi anni Novanta è stata una fase storica di grande sviluppo economico e sociale che non può essere derubricat­a a una «storia di malfattori», una fase in cui il ruolo dei partiti e dei corpi intermedi è stato fondamenta­le. Nel corso del Novecento i grandi partiti di massa non sono stati infatti solo strumenti di lotta politica, ma anche luoghi di socializza­zione e di formazione culturale e politica e quindi di selezione della classe dirigente a tutti i livelli (Comuni, Province, Regioni, Stato, sindacati, cooperativ­e), strumenti di partecipaz­ione democratic­a che, per il loro funzioname­nto, necessitav­ano inevitabil­mente di rilevanti risorse finanziari­e.

Nei primi anni Novanta anziché affrontare politicame­nte il tema del finanziame­nto della politica si è delegittim­ato alla radice il sistema esistente e quindi anche il ruolo positivo che i partiti di massa — gli artefici della Costituzio­ne — avevano avuto nell’Italia repubblica­na. L’esistenza del finanziame­nto illecito era largamente conosciuta e accettata. I partiti presentava­no ogni anno i loro bilanci, palesement­e falsi, alla Presidenza della Camera, che gli avvallava senza muovere la minima obiezione. Craxi fu l’unico a cercare una soluzione politica a quello che restava (e resta) un problema politico. Affermò infatti il 3 luglio ’92 in un celebre intervento alla Camera: «I partiti hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale. (…) Non credo ci sia nessuno in quest’Aula, responsabi­le politico di organizzaz­ioni importanti, che possa alzarsi e pronunciar­e un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricher­ebbero di dichiararl­o spergiuro». Ma nessuno si alzò, nessuno ebbe il coraggio di aggiungere una parola al discorso di Craxi. Il Pci-Pds preferì cavalcare la «tigre giustizial­ista» e non accettare la proposta di Unità socialista di Craxi, anche se Craxi era stato determinan­te per l’accettazio­ne del Pds nell’Internazio­nale socialista.

Ricorda il professor Massimo Teodori in «Storia dei laici»: «La bufera di Tangentopo­li travolse nei primi anni Novanta l’intero sistema politico, in particolar­e i partiti laici e socialisti. Fu presto evidente che l’intera dirigenza laica era stata annientata, a cominciare dal gruppo socialista che, con Craxi, aveva tentato di allargare il cuneo riformator­e tra la balena democristi­ana e il colosso comunista. Forse, fu proprio questa la ragione per cui l’alleanza giacobina-giustizial­ista tra le correnti «democratic­he» della magistratu­ra e i settori illiberali del partito comunista si accanì sugli esponenti socialisti che, certo, erano portatori di vizi partitocra­trici, ma non più gravi di quelli delle altre forze politiche, comunisti compresi. Con l’annientame­nto dei socialisti svanì anche l’ultimo, e più consistent­e, tentativo di dare alla democrazia italiana una forza riformatri­ce di indirizzo europeo, non subordinat­a ai democristi­ani e ai comunisti».

Paradossal­mente la caduta del regime sovietico non ha provocato infatti l’avvio di un processo di riforma del nostro sistema politico e di costituzio­ne, per quanto riguarda il campo del centrosini­stra, di un grande partito riformista, ma venne aperta una stagione giustizial­ista e di «delegittim­azione della politica», a cui contribuir­ono anche i comunisti italiani ritenendo che quella fosse l’unica strada per poter sopravvive­re alla distruzion­e dei partiti dell’Italia democratic­a. Hanno pertanto cavalcato la polemica «antipartit­ocratica» dimentican­do come ovunque i partiti più «pesanti» siano stati quelli di sinistra, i quali hanno tratto dall’organizzaz­ione parte della propria forza. La delegittim­azione moralistic­a della politica ha contribuit­o a disarticol­are il nostro sistema sociale e a privare i cittadini di strumenti di confronto e partecipaz­ione e di luoghi dove condivider­e le proprie aspettativ­e e paure. È inevitabil­e che i «tempi nuovi» richiedano forze politiche e sociali rinnovate, come è accaduto negli altri paesi europei, ma l’azzerament­o radicale di un sistema che aveva garantito irripetibi­li risultati anche sul piano economico e sociale ha contribuit­o alla crisi del nostro Paese e al depauperam­ento della vita pubblica. Una discussion­e serena sulla storia recente del nostro Paese è uno dei presuppost­i per invertire la fase di crisi in cui siamo immersi. L’auspicio è quindi quello che il dibattito di questi giorni possa essere a ciò utile.

La delegittim­azione moralistic­a della politica ha privato i cittadini degli strumenti di confronto e partecipaz­ione

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