«Donne, religioni, etnie: discriminazioni simili»
Lectio della giurista Crenshaw. «La disuguaglianza sociale? È associata a una colpa»
TRENTO «Le forme di discriminazione, verso donne, religioni o etnie, sono diverse e interagiscono tra loro. Per comprenderle, vanno intese nel loro insieme, non come singole forme di discriminazione». In chiusura del convegno «Genere e r-esistenze» la giurista Kimberlè Crenshaw ha parlato delle sfide contemporanee rappresentate dal concetto di «intersezione»: un concetto che serve a capire l’origine delle disuguaglianze sociali nel mondo.
Per prima cosa chiede scusa per il fatto di trovarsi in un Paese di cui non conosce la lingua: «Da americana sono stata istruita male, parlo solo inglese, non sono un buon cittadino globale», scherza. Poi tira fuori lo smartphone e si fa un selfie con il pubblico sullo sfondo. Così, pur essendo docente di diritto con cattedre nelle università più famose del mondo, Crenshaw cattura subito la simpatia dell’auditorium dell’aula Prodi, rompendo gli schemi e il copione della classica conferenza accademica.
Il tema che porta è quello di cui si occupa da trent’anni: quello dell’intersezionalità, che spiega essere come un contenitore all’interno del quale confluiscono i diversi tipi di differenze umane, che poi determinano discriminazioni sociali, soprattutto se sono associate a individui o gruppi emarginati o deboli, come nel caso paradigmatico delle donne afroamericane non eterosessuali. «La disuguaglianza sociale è spesso associata a una colpa individuale che porta le persone a trovarsi in una situazione di svantaggio economico, culturale e sociale: è colpa loro che non si sono impegnati abbastanza; non si sono curati abbastanza; non hanno pianificato e progettato abbastanza. Ma se si esce da questa narrazione è facile vedere come lo svantaggio sociale sia determinato più dalla nascita che dal comportamento di un individuo». Per fare un esempio: «Quando ho iniziato a fare la scuola di legge ad Harvard, su uno staff di 60 professori, le professoresse di colore erano due. Come era possibile questo, con le politiche universitarie che garantivano il diritto alla diversità? Ciascun dipartimento pensava che toccasse agli altri dipartimenti assumere professoresse di colore, mentre ciascuno promuoveva colleghi e amici che invece si trovavano nella propria cerchia. L’esclusione delle donne di colore non era solo un esito normale, ma anche prevedibile».
Emblematico anche il caso dell’azienda Degraffenreid: questa aveva assunto uomini di colore per lavorare nel settore della produzione e donne bianche per lavorare nel front office o come segretarie. Per tanto, quando alcune donne di colore dissero di essere state discriminate perché l’azienda non le aveva assunte, la Degraffenreid rispose dicendo che nel suo libro paga vi erano sia donne, sia neri, quindi di fatto la discriminazione non esisteva. «Il punto è che invece la discriminazione esisteva per le donne di colore. L’intersezionalità significa trovarsi vulnerabili sia al razzismo sia al sessismo, sia al classismo». Ma il punto è che l’interesezionalità non è solo un problema giuridico, né solo un problema limitato al mondo del lavoro, né solo delle donne nere. Le donne del Sud del mondo sono particolarmente vulnerabili, perché costrette spesso a migrare e fare lunghi viaggi che non sono sicuri. «L’intersezionalità è la specificità di una condizione individuale che è vulnerabile perché unisce diverse categorie vulnerabili in un unico individuo». La discriminazione si può capire solo se si considera su quanti diversi livelli essa si esprima.
Il racconto
«lo svantaggio sociale è determinato più dalla nascita che dal comportamento»