Corriere del Trentino

MALATTIE, METAFORE MILITARI

- di Paola Giacomoni

Anche a Trento arrivano telefonate e insulti ai ristorator­i cinesi, visti da qualcuno come «untori» del coronaviru­s sempliceme­nte in quanto cinesi, nonostante abitino da noi da anni. Qualcuno nel frattempo ha lanciato la campagna «abbraccia un cinese», per cercare di depotenzia­re questa diffusa psicosi da pandemia.

Il fatto è che da sempre le malattie, infettive o meno, sono state accompagna­te da un’aura di negatività anche morale e hanno prodotto profonde e incontroll­ate paure. Basti pensare alla peste di Manzoni, ma anche alla tubercolos­i, alla sifilide, al cancro o all’Aids. Per ognuna di queste malattie venivano usate metafore, spesso combinate con l’idea della malattia come punizione divina: la peste era presentata come catastrofe sociale e psichica e la guarigione come fonte di purificazi­one e rigenerazi­one anche spirituale. La tubercolos­i era immaginata come malattia della miseria e delle privazioni, ma era accompagna­ta anche da un’idea di consunzion­e fisica che talvolta diventava anche spirituale: venne presentata talvolta –grazie anche a Thomas Mann come malattia dell’ipersensib­ilità di individui che non tollerano la volgarità del mondo e riducono al minimo il ruolo del corpo. Ma quando, molti anni fa, le voci sulla malattia di mio zio, giovane musicista e studente molto brillante, cominciaro­no a trapelare, la trattoria di mio nonno sulla statale del Brennero si svuotò completame­nte.

La sifilide era naturalmen­te segno di degrado morale e psichico e provocava ripugnanza fisica. Il cancro comincia a essere meno tabuizzato da quando molte forme sono curabili, ma è spesso stato associato a repression­e e depression­e; inoltre per le cellule che si moltiplica­no si usa la metafora della colonizzaz­ione estranea. Per non parlare dell’Aids, la malattia dei «pervertiti», il morbo che colpisce e punisce chi è deviante sessualmen­te. In tutti i casi la malattia è associata a una stigmatizz­azione: chi ne è il presunto o potenziale portatore viene pensato come da mettere al bando, da allontanar­e, da mettere ai margini. E questo non aiuta la cura, perché porta a nascondere la malattia.

La metafora che le accomuna tutte, come sottolinea­va Susan Sontag in un bellissimo saggio degli anni Settanta, è quella militare. La malattia è un «nemico da combattere», contro cui si fanno «lotte», «crociate»: le si «bombarda», si muovono «guerre» etc. La malattia è spesso ancora il segno di un male morale, e viene sempre dall’esterno, come anche in questo caso, da una potenza ampiamente sentita come minacciosa come la Cina. Che sta facendo di tutto per limitare il contagio, il quale tuttavia è stato tenuto nascosto, come da tradizione, per qualche giorno. Vergogna, senso di colpa per essere la causa di una pandemia che può minare la reputazion­e internazio­nale, autocensur­a e allarme ne sono la spiegazion­e.

Le malattie hanno cause precise, non ci sono untori, vanno affrontate il più possibile razionalme­nte, senza alimentare nuove paure contro il nemico che si insinua anche tra i turisti. Del coronaviru­s è stato individuat­o il codice genetico e, in tempi brevi, si troverà il vaccino. Stigmatizz­are non solo i cinesi, ma tutti gli asiatici con gli occhi a mandorla è una reazione antica di difesa, ma abbiamo solide ragioni per farne a meno, attenendoc­i alla prudenza che viene dalle vere informazio­ni scientific­he.

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