MALATTIE, METAFORE MILITARI
Anche a Trento arrivano telefonate e insulti ai ristoratori cinesi, visti da qualcuno come «untori» del coronavirus semplicemente in quanto cinesi, nonostante abitino da noi da anni. Qualcuno nel frattempo ha lanciato la campagna «abbraccia un cinese», per cercare di depotenziare questa diffusa psicosi da pandemia.
Il fatto è che da sempre le malattie, infettive o meno, sono state accompagnate da un’aura di negatività anche morale e hanno prodotto profonde e incontrollate paure. Basti pensare alla peste di Manzoni, ma anche alla tubercolosi, alla sifilide, al cancro o all’Aids. Per ognuna di queste malattie venivano usate metafore, spesso combinate con l’idea della malattia come punizione divina: la peste era presentata come catastrofe sociale e psichica e la guarigione come fonte di purificazione e rigenerazione anche spirituale. La tubercolosi era immaginata come malattia della miseria e delle privazioni, ma era accompagnata anche da un’idea di consunzione fisica che talvolta diventava anche spirituale: venne presentata talvolta –grazie anche a Thomas Mann come malattia dell’ipersensibilità di individui che non tollerano la volgarità del mondo e riducono al minimo il ruolo del corpo. Ma quando, molti anni fa, le voci sulla malattia di mio zio, giovane musicista e studente molto brillante, cominciarono a trapelare, la trattoria di mio nonno sulla statale del Brennero si svuotò completamente.
La sifilide era naturalmente segno di degrado morale e psichico e provocava ripugnanza fisica. Il cancro comincia a essere meno tabuizzato da quando molte forme sono curabili, ma è spesso stato associato a repressione e depressione; inoltre per le cellule che si moltiplicano si usa la metafora della colonizzazione estranea. Per non parlare dell’Aids, la malattia dei «pervertiti», il morbo che colpisce e punisce chi è deviante sessualmente. In tutti i casi la malattia è associata a una stigmatizzazione: chi ne è il presunto o potenziale portatore viene pensato come da mettere al bando, da allontanare, da mettere ai margini. E questo non aiuta la cura, perché porta a nascondere la malattia.
La metafora che le accomuna tutte, come sottolineava Susan Sontag in un bellissimo saggio degli anni Settanta, è quella militare. La malattia è un «nemico da combattere», contro cui si fanno «lotte», «crociate»: le si «bombarda», si muovono «guerre» etc. La malattia è spesso ancora il segno di un male morale, e viene sempre dall’esterno, come anche in questo caso, da una potenza ampiamente sentita come minacciosa come la Cina. Che sta facendo di tutto per limitare il contagio, il quale tuttavia è stato tenuto nascosto, come da tradizione, per qualche giorno. Vergogna, senso di colpa per essere la causa di una pandemia che può minare la reputazione internazionale, autocensura e allarme ne sono la spiegazione.
Le malattie hanno cause precise, non ci sono untori, vanno affrontate il più possibile razionalmente, senza alimentare nuove paure contro il nemico che si insinua anche tra i turisti. Del coronavirus è stato individuato il codice genetico e, in tempi brevi, si troverà il vaccino. Stigmatizzare non solo i cinesi, ma tutti gli asiatici con gli occhi a mandorla è una reazione antica di difesa, ma abbiamo solide ragioni per farne a meno, attenendoci alla prudenza che viene dalle vere informazioni scientifiche.