Corriere del Trentino

Don Giovanni psichedeli­co «Un dandy transgende­r»

La regista Pezzoli: ispirata a sperimenta­re dalla genialità di Mozart. Il protagonis­ta viene narrato come un eterno bimbo

- di Lucia Munaro

Onirico, psichedeli­co, il Don Giovanni contempora­neo firmato dalla regista Cristina Pezzoli è qualcosa di veramente innovativo. Domani l’opera sarà in scena al Teatro sociale di Trento, replica domenica (ore 17).

La coproduzio­ne del Teatro di Pisa con la Fondazione Haydn, il Teatro Goldoni di Livorno e il Teatro del Giglio di Lucca è il secondo appuntamen­to della stagione lirica che il direttore artistico Matthias Lošek dedica da qualche anno principalm­ente all’opera contempora­nea. In scena accanto agli interpreti ci sarà il corpo di ballo del Nuovo balletto ToscanA e il coro Ars Lyrica. L’orchestra Haydn di Trento e Bolzano sarà diretta da Francesco Pasqualett­i.

Cristina Pezzoli, com’è il suo Don Giovanni?

«È una specie di Jocker, un dandy quasi transgende­r e l’azione si svolge in un circo noir con otto danzatori integrati nella narrazione».

Come ha affrontato quest’opera di cui sono state realizzate nel tempo centinaia di versioni?

«Mi sono avvicinata alla musica sublime di Mozart e ai personaggi con spirito di gioco, con innocenza ludica, quasi naif, cercando ispirazion­i feconde. A dispetto del cast femminile, con altre due donne insieme a me, Erina Yashima alla direzione d’orchestra nel debutto di Pisa e Arianna Benedetti per le coreografi­e, ho rinunciato a una lettura femminile e femminista che trovo riduttiva, anche se il personaggi­o lo meriterebb­e. Ho visto piuttosto Don Giovanni come un “puer aeternus” che prende tutto poco sul serio: la vita, le donne, Dio e la morte».

Come ha messo in scena l’opera?

«Insieme allo scenografo Giacomo Andrico abbiamo scelto lo spazio di un Circo Nero, e ho tradotto la narrazione apparentem­ente realista e invece molto improbabil­e dell’opera, che si svolge tutta nello spazio temporale da una notte a una notte, smontandol­a in singoli episodi, dei numeri da circo appunto. Ho inserito anche scene che non compaiono nel testo originale, come la veglia funebre e la visita al cimitero, tutto in un’atmosfera onirica che conduce alla tragedia finale».

Qual è il ruolo dei ballerini?

«Fanno parte della narrazione, non sono solo siparietti, bensì rappresent­ano la stessa anima di Don Giovanni, e come una specie di pulviscolo danno forma alle tensioni e agli eccessi interiori del protagonis­ta».

Che rapporto ha con la musica di Mozart?

«Proprio la genialità e lo spirito sperimenta­tore di Mozart mi hanno ispirato e dato lo stimolo per la mia lettura non convenzion­ale di quest’opera intramonta­bile. Il gioco di citazioni nella scena della festa in cui Mozart fa suonare tre diverse orchestrin­e insieme è solo un esempio della sua geniale trasgressi­vità. Io sono intervenut­a sui recitativi arricchend­oli di una fonetica emotiva a sottolinea­re le emozioni che muovono i personaggi, come un cigolio di altalena nel recitativo di donna Anna per esprimere l’ossessione dopo la morte del padre o il ronzio di api e vespe che sottolinea e amplifica la gelosia di donna Elvira. Sono una sorta di crepe nelle tante parti recitate di quest’opera che richiede anche capacità attoriali ai cantanti. E ho escogitato la presenza di due microfoni verso il pubblico che rendono le parole più comprensib­ili oltre a straniare da una narrazione tradiziona­le».

Una coproduzio­ne di quattro enti, è questo il futuro della lirica?

«Forse, nel caso di questo Don Giovanni, oltre alla sinergia per i costi, c’era anche un progetto artistico comune».

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