Omaggio all’Alto Adige: le Dolomiti luminose di Rizzardi
«Girarci intorno» è la mostra dell’artista altoatesina Pierina Rizzardi, nella nuova sede dell’Associazione degli Artisti, in pieno centro a Bolzano.
L’esposizione rimarrà allestita fino a sabato prossimo, 15 febbraio e presenta sculture e installazioni luminose che sono un omaggio alle meraviglie paesaggistiche del territorio e, in particolare, alle Dolomiti. La summa di una carriera artistica che Pierina Rizzardi ha avviato negli anni Sessanta.
«Sono nata a Bolzano nel 1947 e dal ‘65 al ‘71 ho vissuto a Venezia - racconta l’artista -. Studiavo architettura e quelli sono stati anni meravigliosi. Avevo docenti del calibro di Carlo Scarpa, un archistar: bizzoso, puntiglioso, raffinatissimo. Ci ha insegnato tutto, dall’uso dei materiali agli accordi delle forme. Lì si è animato lo spirito artistico che, già ai tempi del liceo scientifico, la professoressa Gruber aveva stimolato in me. Figlia di uno scultore della Val Gardena, lei stessa scultrice, si dedicava all’incisione e mi ha trasmesso l’amore per xilografia e calcografia, che ho perfezionato a Venezia all’Istituto per la Grafica d’Arte».
Altri incontri eccezionali che l’hanno segnata profondamente sono avvenuti per Pierina Rizzardi a Venezia, tra cui quello con l’artista Guido Strazza.
«Ho iniziato lì a dipingere rammenta Rizzardi - dapprima l’acqua e poi il cielo. In seguito, tornando in Alto Adige, le montagne sono diventate protagoniste. Avendo due figli mi sono dedicata all’insegnamento, alla scuola per geometri di Bolzano, e per 35 anni la mia vita artistica è rimasta in secondo piano, ma dipingere è sempre stata la mia passione».
Piccoli quadri figurativi e, ancora, l’incisione.
«Per me è quasi una forma di meditazione, perché richiede molto tempo: devi pensare all’immagine, poi la devi pensare rovesciata e finalmente arriva il momento in cui devi creare».
Le sue opere iniziano a farsi notare. «Virginia Gilmozzi, che gestiva la Galleria Spazia, ospitò le mie prime esposizioni di una certa tendenza negli anni ‘70-’80, finchè la Spazia è esistita - racconta l’artista -. Poi negli anni ‘90 sono arrivate le fiere e le mostre all’estero, a Colonia, Berlino, San Francisco dove il mio Sciliar a tinte rosse era piaciuto moltissimo, forse perhé loro hanno quei canyon dai colori così accesi. E così ho proseguito con il tema delle montagne, simbolo dell’Alto Adige: il Catinaccio, che preferisco chiamare Rosengarten perché è molto più suggestivo chiamarlo “giardino delle rose”, è la montagna di Bolzano ed è di una bellezza incredibile. Cambia a seconda delle luci e delle stagioni, dalla finestra la vedo ogni giorno e mi ispira a dipingere».
Il Sellaronda, invece, ha ispirato le grafiche in bianco e nero e le installazioni di luce esposte ora nel piano interrato della galleria in via Bottai, composte da canne di bambù e segmenti di neon colorati.
«Ho percorso il Sellaronda in macchina d’estate e si aprono alla vista degli scorci bellissimi sul Sassolungo, sullo Sciliar visto da dietro, sulle Odle, il Putia, la Marmolada - spiega -. Così in questa mostra accolgo i visitatori con un giro di venti metri: dieci opere da un metro e quaranta per due, incernierate in due emicicli come in un abbraccio che, all’ingresso, mostrano il panorama dolomitico e abbracciano chi entra in uno spazio infinito che allarga il respiro e fa sentire in pace».