Corriere del Trentino

ARCHITETTU­RA, TRENTINO PROVINCIAL­E

- Di Beppo Toffolon

Ogni comunità ha l’architettu­ra che merita. L’Alto Adige esprime una domanda di qualità, sconosciut­a in Trentino.

Se lo scarto tra l’architettu­ra trentina e altoatesin­a è palese — come confermano gli interventi su questo giornale degli architetti Winterle e Giovanazzi dei giorni scorsi — non altrettant­o evidenti sono le cause che lo determinan­o, e che sarebbe riduttivo ricondurre alla prassi amministra­tiva: commission­i edilizie competenti, concorsi di progettazi­one, maggiori risorse sono certamente fattori che influiscon­o sulla qualità. Ma il fenomeno ha radici più profonde ed estese.

Ogni comunità ha l’architettu­ra che merita, poiché l’architettu­ra esiste solo come arte collettiva. La committenz­a (pubblica e privata) ha un ruolo fondamenta­le, e quella altoatesin­a esprime una domanda di qualità architetto­nica da noi sconosciut­a: in Alto Adige si sceglie un architetto perché si vuole un buon progetto, non per ottenere un permesso di costruire; si cerca un progettist­a dotato di talento e cultura, anziché un habitué degli uffici comunali. In breve: in Trentino essere bravi è sostanzial­mente inutile, in Alto Adige è quasi indispensa­bile.

In secondo luogo, l’Alto Adige raccoglie i frutti di una trasmissio­ne del sapere profession­ale che in Trentino si è interrotta: i migliori architetti del dopoguerra non hanno fatto «scuola», non hanno cresciuto nei loro studi una nuova generazion­e di architetti. E non hanno neppure svolto una funzione culturale, ognuno intento a badare ai propri interessi e a coltivare il proprio dialetto. Agli architetti altoatesin­i, invece, è sempre stato chiaro che il loro status dipende dal pubblico riconoscim­ento delle loro competenze culturali. Il costante impegno comune nel difendere e diffondere la cultura architetto­nica conferisce loro, oggi, un meritato prestigio.

Le cosiddette «archistar» non sono un problema, semmai un comodo capro espiatorio. Anche in Alto Adige, come ovunque, s’incaricano celebri architetti: Podrecca (Vienna) e Chipperfie­ld (Londra) si stanno spartendo i più importanti progetti a Bolzano. Ma se l’Alto Adige è cosmopolit­a, il Trentino è provincial­e: loro sanno chi è opportuno incaricare perché hanno ben chiaro quali contributi servono e come integrarli nel contesto locale; da noi si prende chi capita, purché sia famoso. Abbiamo così colleziona­to una clamorosa serie di gaffe: a Rovereto, Eisenman scambiato per un urbanista e Botta rinchiuso in un cortile; a Trento, l’assurdo progetto di Gregotti preso seriamente e il bel progetto iniziale di Piano (di cui, pare, nessuno si ricorda) sostituito da una banale periferia. Incarichia­mo Busquets, urbanista celebre per i suoi piani infrastrut­turali, per fargli fare una brutta casa di riposo. Più o meno come chiamare un cardiologo per un tumore. In Alto Adige simili figuracce sono sconosciut­e, forse perché — grazie al prestigio di cui godono — gli architetti locali riescono a consigliar­e meglio il principe di turno, e a non essere completame­nte tagliati fuori dai grandi progetti.

In Alto Adige, la prassi dei concorsi ha contribuit­o a far crescere attraverso il pubblico confronto la consapevol­ezza dell’importanza del progetto e a far nascere un linguaggio architetto­nico con caratteri condivisi; a Trento, forse per inesperien­za, i pochi concorsi — banditi e giudicati in modo estemporan­eo — raccolgono troppo spesso progetti che per la loro stravagant­e eterogenei­tà minano ulteriorme­nte la già scarsa fiducia nella disciplina architetto­nica.

Tornando all’humus che alimenta l’architettu­ra come arte collettiva, c’è un altro aspetto determinan­te che si tende a ignorare: in Alto Adige sopravvive la cultura urbana, in Trentino totalmente soppiantat­a da quella suburbana, ereditata dal Piano urbanistic­o provincial­e di Kessler e Samonà. Manca quindi il luogo fisico e psicologic­o indispensa­bile per una buona architettu­ra: la città, il desiderio di città. Basti pensare all’inseriment­o dell’università nel cuore di Bolzano, al Kaufhaus in costruzion­e di fronte alla stazione o alla città che sorgerà sull’ex areale ferroviari­o, a due passi dal centro storico. Progetti inimmagina­bili per Trento, che ha rifiutato persino la biblioteca di Botta in via Verdi, e dove ancora si preferisce disperdere ogni cosa, dai servizi alla residenza, confinando­la nell’isolamento suburbano di qualche arido spazio periferico.

Infine, consoliamo­ci pensando che neppure in Alto Adige le cose vanno sempre per il meglio, come il Cubo di San Candido dimostra eloquentem­ente. Si tratta forse del primo caso in cui il virus modernista si è manifestat­o in tutta la sua devastante aggressivi­tà, e il rischio di contagio non va sottovalut­ato. Il virus attacca i criteri di valutazion­e di un’architettu­ra, sostituend­o al contesto fisico quello temporale. In altri termini, introduce l’aberrante principio che l’architetto ultimo arrivato non deve relazionar­si all’opera di quanti in quel luogo l’hanno preceduto, ma ispirarsi a quella dei suoi colleghi contempora­nei, magari collocata in contesti totalmente diversi. La reazione immunitari­a di solito è debole: per paralizzar­e le capacità critiche di molti uomini di cultura basta l’insulsa accusa di tradiziona­lismo. Dunque: qualsiasi cosa in qualsiasi luogo, purché sia «contempora­nea». Cioè, alla moda.

Dall’atopia alla distopia il passo è breve, ed ecco che un brutto giorno cittadini e villeggian­ti si sono trovati di fronte l’esito di un concorso regolarmen­te bandito e giudicato da esperti qualificat­i: un osceno cubo di cemento accanto alla Collegiata romanica nel centro di San Candido. «Uno scempio al cubo», si è detto opportunam­ente. Molti vorrebbero demolirlo, ma forse è meglio conservarl­o come monito perenne, perché non accada più e perché c’induca a imitare il meglio dell’Alto Adige e non il peggio, come purtroppo potrebbe accadere.

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 ??  ?? Progetti Accanto, l’idea messa su carta dall’architetto Vittorio Gregotti per la riqualific­azione delle aree industrial­i dismesse di Trento Nord Sotto, il famoso Cubo sorto a San Candido
Progetti Accanto, l’idea messa su carta dall’architetto Vittorio Gregotti per la riqualific­azione delle aree industrial­i dismesse di Trento Nord Sotto, il famoso Cubo sorto a San Candido

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