«Architettura dei rifugi, necessario voltare pagina»
Per l’architettura dei rifugi trentini «serve un cambio di passo». Lo sottolinea l’ex presidente degli architetti Alessandro Franceschini.
«Il Trentino ha bisogno di un cambio di passo verso una modernità del linguaggio architettonico dei rifugi alpini». Mentre gli appassionati di montagna attendono il riavvio del percorso di costruzione del rifugio Tonini — il cui iter è ancora sospeso —, l’ex vicepresidente degli architetti Alessandro Franceschini allarga lo sguardo. E invita a una riflessione sugli edifici in ambiente alpino.
Partiamo proprio dal rifugio Tonini. L’iter è ancora sospeso dalla Provincia, che lamenta un disegno poco contemporaneo. E chiede modifiche sulla copertura.
«Mi sembra una notizia interessante. La commissione di coordinamento ha fatto un atto di grande coraggio, chiedendo alla Sat altrettanto coraggio. Quando si costruisce un edificio in quota serve una forte sensibilità estetica e culturale. Perché non si tratta solo di erigere una casa fatta di quattro mura e di un tetto, ma di cambiare in maniera irreversibile l’articolazione di un tratto del nostro paesaggio».
Molti invocano la necessità di rifarsi alla tradizione.
«I rifugi di media quota, come il Tonini, sono il prodotto di processi di autocostruzione, dettati dalle condizioni storiche e ambientali dell’epoca in cui sono stati edificati: sarebbe folle oggi ragionare con le stesse modalità costruttive o compositive, per la stessa ragione per cui oggi circoliamo in automobile e non a cavallo. Così come i rifugi hanno bisogno di un efficiente impianto elettrico così le loro forme hanno bisogno di rinnovarsi. L’architettura è la metafora del tempo presente e una comunità sicura di sé, della propria identità, non deve aver paura di sperimentare nuove forme».
E per quanto riguarda invece l’alta montagna?
«Al di sopra una certa quota il problema della tradizione non si pone: non esistono tracce di antropizzazione nell’alta montagna. I rifugi alpini sono il frutto della modernità e proprio per questo possono interpretare qualsiasi sperimentazione architettonica. Il fatto poi di essere degli oggetti architettonici “unici” in contesti caratterizzati da altissima naturalità rendono quasi obbligatoria quella purezza delle forme tipica dell’architettura contemporanea».
Altrove cosa accade?
«In tutto l’arco alpino ci sono territori in cui si è investito e si sta investendo con grande apertura mentale sul linguaggio architettonico. Può essere antipatico citare sempre i nostri cugini, ma in Südtirolo l’architettura dei rifugi sta diventando un fenomeno dalle proporzioni incredibili, capace di modificare profondamente la percezione delle montagne. Si tratta di un tema che porta beneficio in tutti i settori dell’economia di montagna».
E il nodo dell’identità?
«Il confronto su quanto accade nell’architettura tra il nord e il sud della regione è, in questo settore, smaccatamente a vantaggio dell’Alto Adige. Lì si vede un territorio proiettato nel futuro, che non si pone problemi di identità; qui vedo un Trentino che non sa più chi è e che cerca, nei fantasmi del passato, di trovare un simulacro identitario. Dimenticando che l’identità non è un dato storico immutabile, ma un processo diacronico che cambia costantemente con il tempo e che costantemente dobbiamo avere il coraggio di rinnovare».