Cooperative sociali, settemila persone per i più bisognosi
Con un fatturato in crescita, le coop sociali occupano più di settemila persone Borzaga: in futuro? Partnership col pubblico. Maines: evitare la via dell’appalto
Èuna storia recente, scritta nel mezzo delle grandi trasformazioni apparse qui e altrove tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Una storia cominciata nelle periferie, nelle province, negli oratori. La cooperazione sociale, quando ancora non aveva definizione giuridica, fiorisce nella spontaneità. Il Trentino, forte di una tradizione cooperativa già solida, diventa così la culla di una risposta civile ai bisogni emergenti inevasi dall’ente pubblico, fiaccato dalla crisi petrolifera. È il tempo delle grandi riforme, della chiusura di manicomi e orfanotrofi.
Ed è il tempo dell’esplosione del consumo di eroina. A corrispondere soluzioni inedite verso umanità lasciate ai margini è una realtà nuova, capace di tradurre il diritto al lavoro per tutti, il diritto alla salute, i diritti sociali. Una forma organizzativa, quella delle cooperative sociali, che con settemila addetti e 200 milioni di fatturato (in crescita) guarda al futuro, a una società che invecchia e chiede nuovi servizi.
Gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi, si occupano dell’inserimento nel mercato del lavoro di persone fragili. Governano servizi d’interesse generale, per la comunità, spesso in delega per conto dell’ente pubblico. Qualche esempio: servizi per l’infanzia, servizi per anziani, per persone senza fissa dimora, per chi si trova in condizioni momentanee di vulnerabilità. Sono al fianco delle persone con disabilità e alle famiglie di persone con disabilità. E per molti anni hanno gestito servizi di accoglienza ordinaria e straordinaria per richiedenti asilo. Ma le cooperative sociali sono anche molto altro: creano lavoro e ricadute. «Il Trentino — spiega Carlo Borzaga, presidente di Euricse — È una delle culle della cooperazione sociale con la zona di Brescia, del padovano e dell’Emilia Romagna, ovvero le zone della piccola impresa». A favorirne la nascita, prosegue il docente, «è il combinato disposto dell’esperienza pregressa della cooperazione e la sostanziale mancanza di una risposta pubblica a nuovi fenomeni legati a grandi riforme, come la chiusura dei manicomi». La legge Basaglia del 1978 dispone la chiusura delle strutture, restituendo dignità di persona al paziente psichiatrico. Unico problema: per molto tempo non si trova un’alternativa. «Si afferma così il fenomeno delle case di riposo che per metà ospitavano anziani e per metà persone con problemi di salute mentale». Non solo. «La domanda di servizi sociali, a quel tempo, era affrontata dalle famiglie», rimarca Borzaga. E per chi non aveva famiglia restava la strada, l’anonimato, l’abbandono a sé e agli occhi dello Stato. «Ecco perché la cooperazione sociale nasce come risposta della società civile che si organizza», dice il docente.
Tuttavia si pone il tema di creare una cornice giuridica chiara rispetto agli assetti della «semplice» associazione. «Pensiamo al problema dei primi laboratori sociali: i prodotti non potevano essere venduti. Oppure chi si occupava di ospitalità non aveva i requisiti per la ricettività — spiega il docente elencando i primi dilemmi posti a chi cercava soluzioni — Si inizia così a discuterne a Malosco, al Centro Studi Zancan». E si inizia così a immaginare la cooperazione sociale e, prima di ogni altra Regione d’Italia, nel 1988 il Trentino Alto Adige offre una prima norma quadro in materia di cooperazione di solidarietà sociale. Tre anni dopo arriva il riconoscimento nazionale: il 1991 è l’anno della legge che disciplina le cooperative sociali, ne dà dignità giuridica e ne indica le finalità d’interesse generale.
A distanza di ventinove an
ni, le coop sociali hanno erogato servizi in tutto il Paese, crescendo costantemente. Anche negli anni della congiuntura, dal 2008 al 2013. Al 31 dicembre 2018, ultimo dato utile, operavano in Trentino, associate alla Federazione, 86 cooperative sociali: 59 di tipo A (quelle gestiscono servizi socio-sanitari), e 27 di tipo B (quelle specializzate in inserimenti lavorativi di persone svantaggiate), più 6 consorzi. Nel 2018 il valore della produzione è cresciuto del 3,5 per cento raggiungendo l’importo di 200 milioni. Di questi: 144 milioni sono la quota delle coop sociali di tipo A, mentre 56 milioni è la quota delle coop sociali di tipo B. Ancora: il patrimonio netto stimato ammonta a circa 76 milioni, con un aumento del 6,3 per cento rispetto al 2017, che si traduce in un rafforzamento della solidità patrimoniale. Quanto al profilo occupazionale, sono circa 7.200 i lavoratori, di cui il 61% a tempo indeterminato. Da menzionare l’alta percentuale di donne che rappresentano il 65% della platea totale.
Ma quali sono le prospettive per il futuro? Il codice del Terzo Settore, licenziato nel 2017, ha istituito la cornice per strutturare una nuova collaborazione con l’ente pubblico attraverso forme di coprogrammazione e coprogettazione dei servizi sociali. «La partnership fra pubblico e privato è la prospettiva a cui ambire per rispondere a nuovi bisogni e trasformare i servizi», spiega Borzaga. «Una società che invecchia, che necessità di nuove risposte di domiciliarità e che deve corrispondere a nuove fragilità può trovare risposta nella cooperazione sociale», fa eco Serenella Cipriani,presidente del consorzio Consolida.
Oggi come ieri, seppur con ragioni diverse, le risorse dell’ente pubblico non sono sufficienti a coprire i bisogni presenti e futuribili. Ed è qui che il privato sociale, rimarca Stefano Maines, referente di Federcoop per le cooperative sociali, può rivestire un ruolo centrale.
«L’articolo 55 della riforma del 2017 segna un passaggio importante che definisce e regolamenta la modalità della collaborazione — spiega — La relazione, quando si tratta di servi di rilevanza sociale, non può infatti essere paragonata allo scambio cliente-fornitore».
Quando si tratta di servizi, del resto, le leggi della concorrenza mal si prestano alla finalità ultima: l’interesse della comunità (anziché del profitto). «La via dell’appalto — prosegue Maines — non può garantire l’interesse generale». Viceversa, la disciplina della collaborazione consente all’impresa sociale di programmare servizi preziosi (e delicati) sfuggendo alle briglie del mercato. «E riconoscendone il ruolo, i soggetti del terzo settore coprogettano, insieme all’ente pubblico, apportando risorse e competenze, a partire dal volontariato».
Ma a che punto è l’applicazione della normativa? Dopo un parere (non vincolante) del Consiglio di Stato che lasciava presagire qualche dubbio sul superamento della gara d’appalto, molti Comuni d’Italia si sono chiesti come agire: coprogettare con il Terzo settore o applicare la gara per evitare problemi? «Qui in
Trentino sono state approvate le linee guida della Provincia che disciplinano la coprogettazione quale percorso preferenziale, lasciando comunque spazio alla gara ma solo in determinate circostanze. Il nostro auspicio è infatti quello che la qualità resti sempre centrale. Ora — conclude Maines — stiamo lavorando con la Provincia per rendere concreta la possibilità della collaborazione».
Tipologie
Le coop sociali sono di tipo A, servizi sociosanitari; o B, di inserimento lavorativo
Cipriani (Consolida)
Dall’invecchiamento della popolazione ai servizi domiciliari: in futuro ruolo centrale