QUEI MACIGNI SULLA STRADA
Come possiamo tenere la borsa e la vita? Cioè come si può salvaguardare salute pubblica e economia, dopo una settimana di caos. In fondo dieci giorni fa eravamo con Michele Mirabella che in tv, in uno spot del ministero della salute trasmesso a tutte le ore, rassicurava gli italiani.
Poi la brusca scoperta dei focolai di Vò Euganeo e di Codogno, i primi morti, la diffusione del contagio, l’accelerata di domenica con la chiusura di tutto, l’assalto ai supermercati del cittadini disorientati e impauriti (e comunque se viene chiuso il Duomo di Milano e la Scala non hai così torto a pensare che presto chiuderanno anche i supermercati), le città deserte, gli autobus vuoti, l’allarme delle categorie economiche, la frenata delle Regioni di mercoledì, l’immagine dell’Italia all’estero devastata, noi nel frattempo che siamo diventati gli «untori», Paesi che invitano i propri cittadini a non venire in Italia, le disdette dei turisti, il crollo di interi settori, gli italiani disorientati. Non è facile dover decidere su una emergenza sanitaria. Hai poco tempo, molte domande e poche risposte. E anche queste risposte spesso sono diverse, perché anche gli scienziati non hanno una sola voce. Ed è al contrario molto facile, a cose fatte, capire cosa non è stato fatto bene e cosa poteva essere fatto meglio. Ma sicuramente lo «stop and go» con le epidemie non funziona, non si può scegliere una strada la domenica e imboccarne un’altra sette giorni dopo. E non funziona neanche che luoghi vicini seguano strade diverse, come ad esempio Trento (dove i teatri sono per la maggior parte chiusi) e Bolzano (dove sono aperti). Come chiudere gli stadi della serie A ma non quelli della serie B. Meglio tenerli aperti tutti e due, o chiusi tutti e due. E sorprendente anche solo credere che si possa sconfiggere il virus o la paura con la cultura, un aperitivo, un biglietto a teatro «last virus». O pensare ci sia qualcuno che ci possa credere, in Italia o all’estero. E non funziona neanche che non ci sia uno solo a decidere la strada da prendere, ma che come sempre accade in Italia perfino su una questione sanitaria ci sia la filiera di Governo, Regioni, Comuni. Di chi è la responsabilità alla fine? Domani sentiremo se le cose dovessero andare meglio del previsto lamentarsi la Regione o il Comune che voleva tenere tutto aperto (colpa di Roma) o il Governo se le cose dovessero andare male incolpare le Regioni che resistevano alle chiusure? O viceversa.
Quanto all’economia, averne cura è determinante per limitare i danni. Ma farla diventare una priorità rispetto alla salute può essere fatale, come è accaduto proprio in Cina, dove per proteggere la crescita prevista si è negato il diffondersi del virus. E il governo cinese è stato poi costretto a provvedimenti estremi. O in Iran, dove l’ostinazione a tener aperta la città santa di Qom, che è anche una fonte di guadagno per il potente clero, ha generato un focolaio di diffusione che ora si fatica a controllare.
Ci sono alcuni studi interessanti sui riflessi sul Pil causati da una pandemia (il Coronavirus ancora non lo è, ma l’Oms ha alzato ancora il livello di pericolo). Li ha pubblicati l’Osservatorio Conti Pubblici diretto da Carlo Cottarelli. Naturalmente tutto dipende da quanta popolazione si ammala e da quanti contagiati muoiono. Ma le simulazioni effettuate nelle ricerche da un lato rassicurano, in uno o due anni la gran parte della flessione viene recuperata, dall’altro preoccupano, perché i danni maggiori li potrebbero avere Paesi come il nostro ( e la Grecia o la Spagna), dove turismo, ristorazione, cinema, teatro, eventi sportivi sono importanti ma anche più facilmente sacrificabili per i consumatori. Sulla strada che dovremo percorrere ci sono questi macigni. Sarà la coerenza delle decisioni che i nostri governanti prenderanno e la rinuncia alle scorciatoie a salvare non solo la nostra salute ma anche l’economia.