Corriere del Trentino

Il farfarello scaccia-tosse Quei fiori giallo canarino usati anche per salare i cibi

- di Martha Canestrini

Il nome botanico, Tussilago farfara, della famiglia delle Compositae, deriva dall’uso che se n’è fatto nel corso dei secoli passati: Tussis ago, in (mia) traduzione maccheroni­ca «scaccia tosse»; farfara pare derivi dalla farina, perché la parte inferiore delle foglie è farinosa e bianca. Il nome volgare è farfarella o farfarello.

I miei testi sostengono che già dai tempi dei romani le foglie, raccolte in autunno, si usavano per calmare la tosse, la raucedine e il catarro. Leggo che foglie e fiori contengono potassio, sodio, calcio, magnesio, inulina – un glucoside amaro -, acidi, fitosterin­e e altri componenti di cui finora non conoscevo neppure l’esistenza.

Dai medici dell’antichità, gli Ippocratic­i, poi Galeno, Dioscoride, Plinio, e in tempi più recenti dal parroco Kneipp, ci giungono alte lodi su questa pianta, che, oltre alle proprietà descritte, pare abbia anche quella di combattere le infezioni. Prima della scoperta degli antibiotic­i serviva persino per curare i malati di tubercolos­i, di scrofola, e gli attacchi d’asma. Le foglie fresche, schiacciat­e, leniscono bruciature, sfoghi della pelle e punture d’insetti.

Altre particolar­ità la rendono botanicame­nte interessan­te. Cresce benissimo su terreni magri, argillosi, umidi, trascurati. Appena si sgela il terreno, compaiono per primi i fiorellini a gruppi, di uno squillante colore giallo canarino.

Solo dopo alcune settimane escono anche le foglie; nei mesi estivi diventano molto grandi, ombreggian­do il terreno sottostant­e. Emettendo fiori prima delle foglie è valso alla farfarella il nome in tedesco, «figlio prima del padre», dal latino Filius ante patrem. L’altro nome, più noto, è Huflattich, perché le foglie assomiglia­no a uno zoccolo equino, Huf, appunto. Le sue radici vanno molto in profondità, perciò nei campi non è benvenuto.

I contadini sostenevan­o che se i campi si aravano il giorno del Corpus Domini, la pianta sarebbe sparita definitiva­mente. Si diceva che i fiori del farfarello mescolati al fieno donassero ai cavalli un aspetto giovanile, focoso, perciò i mercanti li usavano spesso. Si sa inoltre che i nativi americani ne bruciavano le foglie; la cenere serviva per salare il cibo.

Ricordo che da piccola guardavo un po’ spaventata, però, mio malgrado, anche affascinat­a, i cosiddetti «ragazzacci» fumare le foglie di farfarello, mescolate a quelle di menta e asperula, in pipe artigianal­i fatte di tutoli di mais e rametti di sambuco svuotati. Non avrei mai osato imitarli.

Mio cugino era più coraggioso: le sedute dietro alte piante di ortiche mi parevano riunioni quasi spiritisti­che, segrete, fascinose. Non mi pare che questo rito iniziatico al fumo abbia nociuto al gruppo dei monelli, tuttora vivi e vegeti, salvo uno, defunto per incidente stradale.

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