«Rinchiusi in casa con 70 chili di riso»
Sonia è una commerciante cinese di Trento : «Seguiamo le norme del nostro Paese d’origine: abbiamo chiuso i negozi e non usciamo»
«Stare a casa tutti i giorni e non lavorare è difficile anche per noi, per un mese si può fare, poi non so come riusciremo a gestire l’isolamento, ma i nostri popoli in Cina lo hanno fatto comunque. Le regole dicono: non si deve uscire anche se è difficile. Quindi si fa e basta». E con garbo raccomanda ai trentini di seguire l’esempio cinese: «Bisogna stare a casa».
A parlare è Sonia (nome italiano), originaria dello Zhejiang, provincia orientale della Cina che si affaccia sul Mar Cinese Orientale, dove d’estate si reca con la famiglia in vacanza. In Italia dal 1987, un marito e tre figli (dai 13 ai 18 anni), due negozi che gestisce con il consorte in centro città, vive dai primi di marzo rinchiusa in casa (anche con i due anziani genitori), con la previsione di rimanervi almeno per un mese. Senza mai uscire. Dopo una scorta eccezionale di generi alimentari, tra cui 70 chili di riso, dieci chili pasta, 20 di farina, 180 confezioni di uova in dispensa, e il frigorifero colmo di pesce, carne, verdure e frutta. E mascherine, ovviamente, inviate dai parenti cinesi. «Quelle ordinate online non sono mai arrivate», dice.
Lei e il marito già il 7 marzo avevano chiuso i negozi, prima ancora delle misure messe in campo dal governo. Così hanno fatto anche gli altri cittadini cinesi in città, che hanno abbassato le serrande prima degli altri colleghi. «Appena abbiamo visto che i casi aumentavano, abbiamo pensato tutti di chiudere», spiega la donna mentre gestisce i figli, due frequentano il liceo e uno le medie, per i compiti online. «Quando abbiamo saputo che aumentavano le regole restrittive e anche i casi di contagio, ci siamo preoccupati e i nostri parenti con l’esperienza del coronavirus in Cina ci hanno detto che era giunto il momento di chiudere subito e di chiudersi in casa — prosegue la commerciante — è quello che abbiamo fatto, questo non è uno scherzo».
Negli ultimi giorni di lavoro in negozio Sonia, come tutta la comunità cinese era costantemente in contatto con i parenti nel suo Paese d’origine. «Io lo dicevo ai miei amici e alla gente che conosco di stare a casa e di non andare in giro, ma tutti dicevano “si tratta di un semplice virus, non è pericoloso”. Invece è andata peggio del previsto, come pronosticato dai nostri parenti. Ora siamo quasi come in Cina». Il «quasi» dipende dalla possibilità di uscire per fare la spesa, in Cina una certificazione solo per un componente della famiglia ogni due giorni, qui quando serve. Per ora, almeno. «Noi usciamo con la mascherina ma solo se serve qualcosa di urgente, oggi c’è il mercato e magari esco al volo per prendere frutta e verdura — continua — ma con cautela: il brutto di questo virus è che non ti accorgi subito di essere contagiato».
Come si vive in sette in casa in un appartamento — tra l’altro molto bello in centro — e come ci si organizza, lo spiega con semplicità: «Ognuno ha il proprio posto e se lo gestisce al meglio, dove vivere la giornata e dove dormire», micro aree per trascorrere il tempo senza pestarsi i piedi. «I ragazzi hanno il computer e la mattina sono tutti impegnati con le lezioni online — dice aggiungendo “per fortuna” — nel pomeriggio ci si organizza con una serie di attività che non si fanno abitualmente, come giocare a carte o con un gioco di società tutti insieme». Poi ci sono i videogiochi, con i quali per la contingenza del caso i figli possono utilizzare maggiormente rispetto al passato. «D’altronde si stufano — commenta — . Tutti i giorni però spiego loro la situazione, racconto quello che succede, le notizie che arrivano dalla Cina e da qui per scoraggiarli a voler uscire».
Poi c’è anche la preparazione della cena da fare insieme, «un’occasione per riscoprire pietanze cinesi elaborate e più lunghe che solitamente non si riesce a fare per i ritmi frenetici. Infine un po’ di televisione e via. Si può fare, per un mese siamo attrezzati». E dopo si vedrà. «L’importante è tenere duro ora, tutti, lo dico anche agli altri: meno gente c’è fuori, meglio è».