Il comportamento dell’epidemia e le fake news
La Fondazione Kessler di Trento e lo studio che svela l’«infodemia»
«Tra chi si informa sui social, cioè la maggior parte di noi, uno su quattro è esposto a una notizia falsa in merito al coronavirus. Si può parlare di infodemia». Manlio De Domenico, esperto di scienze sociali computazionali, guida il laboratorio che si occupa di sistemi complessi in ambito sociale, all’interno della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Dunque: qual è il rapporto tra la propagazione del coronavirus e la diffusione di informazioni? E quanto pesano le fake news in rete? E’ quello che si sono chiesti alla Kessler, che si conferma uno dei centri di ricerca più attenti e innovativi sulle dinamiche sociali. Seguendo l’andamento dell’epidemia, i ricercatori hanno costruito una piattaforma on-line accessibile a tutti, che documenta in tempo reale i comportamenti del virus, delle news e delle reazioni umane in ogni paese del mondo. E’ il «Covid19 Infodemics Observatory» (la pagina web è covid19obs.fbk.eu)
Quando avete iniziato questa mappatura?
«A gennaio, quando hanno cominciato a diffondersi le prime notizie dalla Cina. Avevo seguito in una precedente ricerca i comportamenti di fronte alla Sars e all’inizio sembrava un’epidemia simile - spiega Manlio De Domenico - . Non sapevamo ancora che sarebbe diventata la pandemia che viviamo ora. Quando è apparsa in Italia, abbiamo pensato di mettere a disposizione un’indagine interattiva sulle dinamiche dell’infodemia».
Ma cosa si intende per «infodemia»?
«Ci riferiamo all’esposizione di dati non attendibili o apertamente fake, provenienti e diffusi da fonti umane o da software. Nel caso del coronavirus potremmo dire che il rischio di una circolazione di fake sia del 25%, vale a dire che una notizia su quattro letta in rete potrebbe essere generata sia da Bot sociali, software capaci di interagire con i comportamenti umani, che da account individuali. La diffusione di fake genera incertezza o caos».
Che tipo di dati avete monitorato?
«Ci siamo concentrati su Twitter. Certo, ogni social ha il suo target e ha utilizzi che variano per età e paesi. Ma Twitter ha una diffusione globale ed è l’unico social che permette un accesso quasi totale alle informazioni. Su un totale di quasi 600 milioni di tweet abbiamo estrapolato 125 milioni relativi al coronavirus, nelle sue varie etichettature. Oggi è un argomento così topic, che non possiamo più accedere oltre a una certa quantità di dati»
Dunque, cosa ne emerge?
«All’inizio dell’epidemia l’esposizione alle fake è alta ovunque. In Italia si è mantenuta elevata fino ai primi provvedimenti di emergenza presi dal governo. A quel punto l’attenzione degli utenti nei social si è spostata sempre più verso fonti considerate affidabili. Nel nostro Paese tuttavia permane un’esposizione infodemica del 20%, migliorata col passare dei giorni: ora possiamo ritenere che la quantità di notizie non affidabili continui a diminuire. La situazione peggiore si registra in alcuni paesi latinoamericani, ad esempio il Venezuela, dove alla mancanza di dati ufficiali sui contagi si somma un rischio di esposizione alle fake del 90% ed è un paese dove Twitter è estremamente popolare».
Ma quando parlate di fonti affidabili, a cosa vi riferite? A quelle istituzionali?
«Prima di tutto a quelle, ma a anche a mezzi di informazione o a tanti altri soggetti, come università, centri di ricerca, considerati credibili. Attenzione, non tutti i media sono considerati affidabili e utilizzabili per questo tipo di ricerca. Sull’affidabilità delle fonti abbiamo costruito un modello, con un lavoro iniziato nel 2016, assieme a ricercatori internazionali, istituti indipendenti e centri di giornalismo d’inchiesta».
Nella mappa interattiva on-line, per ogni paese si osserva l’andamento del virus e delle news, affidabili e fake. C’è anche un trend sul sentiment: di cosa si tratta?
«E’ una sorta di strumento diagnostico: monitora come gli utenti percepiscono la situazione in atto. Sempre grazie a strumenti di machine learning, proviamo a estrarre una radiografia emotiva.
Per descrivere il «sentiment» si utilizza una scala che va da -1, cioè negativo a 1, il massimo della positività. Nel caso italiano è sempre stato negativo e continua a esserlo ma con minor forza.
In tutta Europa, comunque, la percezione negativa della situazione resta molto alta. Negli altri paesi molto colpiti, possiamo osservare come in Cina sia altalenante, mentre in Corea del Sud sia tornato positivo. È quello che speriamo avvenga anche qui».