IL CONFINE DELLA VITA
Il confine non è solo una questione geografica, che determina un Paese rispetto a un altro. C’è anche un confine che divide la nostra esistenza. Immaginario ma allo stesso tempo ben definito. Al di qua le nostre vite sospese, fatte di sofferenza e scandite, oggi più che mai, dall’incedere di un presente che, come ha scritto Simone Casalini su questo giornale mercoledì, ha assunto ormai le sembianze di un «deserto sociale». Al di là di questa linea si respira la vita, l’inizio di un cammino, sicuramente ricco d’incognite.
Ma estremamente emozionante. Perché si nasce anche in tempo di coronavirus. In Italia come in Trentino. Ed è forse la più bella sfida lanciata a colui che si è presentato alla porta senza essere il benvenuto, insinuandosi subdolamente nei meandri della quotidianità. Una sfida coraggiosa contro un’epidemia che violenta il nostro essere comunità.
È l’altra faccia di uno stare al mondo costellato da mille acciacchi, a volte sprecato dietro l’effimero o buttato via alla ricerca di un qualcosa che non sappiamo nemmeno noi come catalogare, telecomandato adesso da un virus subdolo, che ci ha obbligato a riordinare le nostre priorità, a proteggerci, a tagliare i ponti con gli altri, a comunicare solo con i social. Quei social da sempre etichettati come i maggiori responsabili della solitudine adolescenziale e dell’aridità sentimentale e improvvisamente diventati una sorta di àncora di salvezza. Il megafono posizionato dentro casa - ora il quartier generale di ciò che ci circonda per esistere, ascoltare, imparare. La nuova frontiera del modo di comunicare.
Questa vita, fatta anche di palesi contraddizioni, del ricorrere ogni cosa a grande velocità per non rimanere indietro, nonostante tutto, rimane un puro un concentrato di speranza. Il vagito di un neonato che dentro un ospedale trasformatosi in trincea rimbomba spazzando via per un attimo il dolore, va proprio in tale direzione. Il significato che esiste un dopo. E se questo dopo si porterà ancora appresso le ferite odierne non deve spaventare. Perché il pianto di un bambino racchiude in fondo il futuro che si spalanca davanti a noi.