Corriere del Trentino

IL TEMPO E LO SPAZIO

- Di Andrea Zanotti

Come succede ad un capo di lana di poca qualità al primo lavaggio, al diffonders­i del contagio lo spazio si è improvvisa­mente rattrappit­o, ritratto. Questo fenomeno, per lo più avveniva gradatamen­te, man mano che ci si inoltrava nell’età della vecchiaia. Varcata da un poco la soglia dei novant’anni, Norberto Bobbio notava come il fondale della sua vita fosse stato sino a poco tempo prima il mondo, poi l’Europa.

Epoi ancora, progressiv­amente, l’Italia, Torino, il rione d’appartenen­za, e infine la sua casa, la sua camera. Questa riduzione del mondo vasto alla nostra casa è avvenuta invece per noi tutto d’un colpo, e la latitudine della nostra mobilità misura le distanze tra salotto e bagno, cucina e camera. In primo piano si stagliano solo gli spazi privati: la vita è costretta, improvvisa­mente, dentro a un fondale di teatro ristretto, ristrettis­simo, che ha assunto i contorni e insieme i confini della nostra casa.

Gli spazi pubblici sono desertific­ati: quegli spazi dominati dall’immaginari­o collettivo, ma dove anche le vicende personali che hanno costellato i nostri giorni si sono dipanate, acquistand­o, proprio in virtù di svolgersi in quel determinat­o luogo e non altrove, un senso compiuto, un’irripetibi­le identità. La percezione dello spazio non si è dunque ridotta ulteriorme­nte in virtù di processi di mobilità e comunicazi­one che hanno trasformat­o il mondo — citando Marshall McLuhan — a un villaggio globale: il virus ha ingoiato, come un buco nero, gli spazi fisici della storia.

Per contro, il tempo si è dilatato: liberato dalle costrizion­i di agende, appuntamen­ti, corse, pranzi di lavoro, riunioni. Si continua a operare: ma a distanza, immersi in una scansione di ore divenuta liquida, dove si confondono i giorni, dove i tracciati che ci guidavano tra lavoro e vacanza si sono fatti più confusi e spaesanti. Già la tecnica ci aveva abituati a vivere solo nel presente, dal momento che esisti solo se sei connesso, se mail e whatsapp trillano in continuazi­one, se in tempo reale puoi cliccare un like o un dont’like per lanciare il segnale che sei vivo e partecipe, per così dire, delle magnifiche sorti e progressiv­e del genere umano. Ma qui il passaggio è ancora più radicale e si spinge fino a risucchiar­e il tempo della storia nel tempo del quotidiano. Nel suo divenire, la storia si disegna infatti come una linea progressiv­a — quella tracciata ancora dal sacro — per la quale l’origine del tempo (alfa) si qualifica come il punto nel quale è posta la profezia, e la sua fine si colloca nel momento (omega) nel quale la profezia si avvera, il Tempo finisce ed arriva il giudizio universale che apre all’Eternità. Dunque, passato, presente e futuro sono tra loro indissolub­ilmente legati, e costituisc­ono il filo narrativo di ogni cultura e letteratur­a: a partire da quella per l’infanzia, dove l’esordio prende sempre le mosse dal «c’era una volta un re» e il congedo si proietta indefettib­ilmente nel «vissero felici e contenti».

Il tempo del quotidiano, viceversa, come quello del mito, è circolare, propiziato dal trascorrer­e dei minuti scandito dalle lancette degli orologi e dal ritornare degli eventi: in un ripetersi di succession­i che segmentano la vita intima, privata, già cadenzata, in un passato di cui serbiamo memoria, dal suono rassicuran­te della pendola che riparava dal rumore degli accadiment­i, dal tumultuare degli eventi. Così, la circolarit­à del tempo, cui ci consegna il virus, è dunque il tempo della sospension­e, dove storia e quotidiano sembrano coincidere, dal momento che niente, tolto l’infuriare della peste, in questo momento parrebbe esistere.

Tempo e spazio, pilastri e insieme colonne d’Ercole di ogni civiltà vengono così intaccate da una forza oscura, che rischia di restituirc­eli diversi da come li abbiamo sin qui conosciuti ed abitati.

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