«Vogliamo aiutare le persone anziane»
I clochard al Punto d’incontro: siamo a disposizione Alla mensa posti ridotti per le norme di sicurezza Said: «Fotocopino la nostra carta d’identità e la affiggano nei condomini della città»
Alla mensa posti ridotti per mangiare: solo 23 invece dei soliti 60. Ma i clochard, che in strada non ci possono stare, pensano a chi ha bisogno di aiuto: «Fateci aiutare le persone più anziane».
Restare a casa, per chi TRENTO una casa non ce l’ha, può risultare una sfida ai limiti della sopravvivenza. Per i molti senza dimora che abitano le strade di Trento le direttive anti-contagio si scontrano contro difficoltà quotidiane legate ai limiti fisici delle strutture di accoglienza e alle richieste della burocrazia. Ai tempi del coronavirus la solidarietà però scompagina le carte e fa emergere la voce di chi, costretto a vagare per le strade per tutto il giorno in attesa dell’apertura serale dei dormitori, tende la mano a chi è costretto in casa per vecchiaia o malattia.
Li incontriamo davanti al Punto d’Incontro di via Travai per il pasto di mezzogiorno. «Abbiamo riorganizzato gli spazi per rispettare le norme di sicurezza» chiarisce l’operatore Nicola Serra. Soli 23 posti a sedere invece dei consueti 60, tutti gli operatori con guanti e mascherina, fuori dall’ingresso delle strisce a terra indicano a che distanza bisogna stare in fila. Gli ospiti, anche sotto la pioggia, non mancano: molti indossano i guanti, altri si proteggono naso e bocca con la sciarpa, consapevoli della situazione. «Noi siamo contenti di essere qui, altrimenti queste persone non saprebbero dove andare — continua Nicola —. Domani (oggi per chi legge,
ndr) dovremmo essere chiusi ma ci stiamo organizzando per distribuire panini». Con i bar e i frati cappuccini chiusi l’alternativa per molti sarebbe il digiuno.
Ma non mangiare paradossalmente è il problema minore in questi giorni in cui l’unico imperativo è «restare a casa». Molti senza tetto sanno della necessità del modulo di autocertificazione per circolare e si sono rivolti al Punto d’incontro per averne una copia. Il problema si pone al momento della compilazione. «La polizia mi ha fermato e mi ha detto di andare a casa, ma io una casa non ce l’ho — spiega Said —. La notte sto in uno dei dormitori, ma aprono solo la sera e la mattina presto dobbiamo andarcene. Durante il giorno non ho un posto dove stare». Alla domanda se ha paura commenta solo: «Non voglio ammalarmi, come tutti». «Noi italiani siamo forti, ce la faremo» gli risponde Adil, arrivato nel nostro paese 22 anni fa da Casablanca. Si inserisce nella categoria anche se tecnicamente non ha la cittadinanza: «Mia figlia sì, lei è italiana. Ora sta con la mamma a Salorno, non posso neanche andarla a trovare». Entrambi,
come molti in fila, sono habitué del Punto d’incontro e della rete di servizi che in tutta la città cerca di aiutare chi, per un motivo o per l’altro, non riesce a trovare una sistemazione stabile. Il pensiero va a chi sta peggio di loro. «Noi stiamo abbastanza bene, io riesco a stare in strada — spiega Adil —. Ma gli altri senza casa che sono malati e hanno bisogno di cure come fanno? Dove vanno?». Alla giusta richiesta di aiuto per i «colleghi» prova a rispondere ancora una volta il volontariato. Il dottor Giancarlo Rama si è offerto per verificare gratuitamente le condizioni di chi transita al Punto d’Incontro, un metodo semplice ma efficace per intercettare almeno i più abitudinari e controllarne le condizioni fisiche.
Il senso civico che anima le parole delle persone in fila si rivolge anche verso le fasce più deboli della popolazione trentina. «Una casa dove restare non ce l’abbiamo, ma siamo pronti ad aiutare. In questi giorni siamo costretti a stare in giro tutto il giorno, mentre ci sono moltissimi anziani che non possono muoversi. Ci vogliamo mettere a disposizione: che ci registrino, che ci facciano la fotocopia della nostra carta d’identità e la affiggano nei condomini della città con il nostro numero di telefono per far sapere alla gente che siamo pronti a dare una mano». Una strada difficilmente praticabile, ma che racconta di un mondo in cui non c’è competizione tra gli ultimi e i penultimi. «Bisogna pensare che siamo tutti esseri umani. Dobbiamo aiutarci» conclude Said senza retorica, sorridendo. Ma una situazione tanto delicata non può essere delegata alla buona volontà dei singoli. «Abbiamo bisogno che il Comune, la Protezione civile, qualcuno organizzi un sistema di accoglienza e monitoraggio medico diffuso. Queste persone non possono più rischiare così» conclude Nicola.