La scuola, il virus e l’impegno civico
Questo è il tempo del «Coronavirus», un tempo surreale, sospeso tra incredulità, ancestrali paure, perentori divieti: città e strade semideserte, nuovi modi di fare la spesa, nuove modalità di tenere «vive» le relazioni tra persone; annullate le cerimonie pubbliche (civili e religiose), vuoti gli stadi, le sale cinematografiche, i musei, le biblioteche.
Sottolineo, però, due importanti valori che oggi più di ieri stiamo tutti apprezzando: lo spirito di abnegazione e le competenze di coloro che, quotidianamente, si occupano della nostra salute (medici, infermieri, operatori socio-sanitari, volontari). In ambito scolastico le lezioni sono sospese, si lavora con la didattica a distanza (che per molti studenti non è una novità). Gli alunni dovranno rinunciare — perlomeno fino al 3 aprile — ai viaggi di istruzione e alle uscite didattiche sul territorio. Prima dell’introduzione delle limitazioni previste dalle misure per contrastare la diffusione del «Covid-19», tre classi dell’Itt «Marconi» di Rovereto hanno partecipato, a corollario di un percorso formativo sulla storia del confine nordorientale, alla cerimonia (10 febbraio scorso) per non dimenticare coloro che persero la vita nella foiba di Basovizza, a Trieste. Gli studenti della 3 C, della 4 B e della 4 C Informatica sono stati accompagnati dal preside e dal vicepreside del «Marconi» (professor Giuseppe Rizza e professor Giancarlo Manara), dal presidente della Provincia, Maurizio Fugatti, dal direttore del Museo Storico di Trento, Giuseppe Ferrandi.
Foibe ed esodo, due verità storiche scomode quanto dolorose, per lungo tempo nascoste dal pregiudizio politico. Fugatti, al termine della manifestazione al sacrario di Basovizza, ha sottolineato «la necessità di evitare strumentalizzazioni ideologiche: confrontarsi con la storia delle foibe vuol dire andare alle radici delle grandi tragedie prodotte, nel secolo scorso, dai nazionalismi, in questo caso dal totalitarismo comunista». Seconda tappa del breve viaggio-studio: risiera di «San Sabba» (denominazione del periferico rione di Trieste dove sorgevano degli edifici costruiti, nel 1898, per la pilatura del riso), campo nazi-fascista tristemente famoso per la detenzione nonché per il transito e l’uccisione di un gran numero di ebrei e di prigionieri politici. Terza e ultima tappa: una veloce visita alla città di Trieste, da sempre città multietnica dall’indubitabile fascino non solo architettonico, cerniera tra la cultura mitteleuropea e quella mediterranea, città in cui nacquero o vissero poeti, uomini di scienza, scrittori e intellettuali come Italo Svevo, Umberto Saba, Edoardo Weiss, Bobi Bazlen, Scipio Slataper, Giani e Carlo Stuparich,
Fulvio Tomizza. A Trieste, agli inizi del Novecento, insegnò James Joyce. Nella città adriatica abitano Claudio Magris e Paolo Rumiz. Per il secondo anno consecutivo, il «Marconi» ha proposto agli studenti delle classi quinte — nell’ambito delle iniziative per il «Giorno del Ricordo» — lo spettacolo «Istria 1943 – Joh Mene! Un grido nel buio», regia di Gloria Gabrielli.
L’intensa pièce racconta la storia del maestro trentino Erminio Girardelli, catturato dai partigiani titini il 6 novembre 1943 — a Lanischie, Istria settentrionale, oggi Croazia — e infoibato qualche giorno dopo. «Joh mene!» significa «Povera me!», allude all’esclamazione straziante della moglie del maestro quando i partigiani titini vennero a prelevare il marito a casa. Il «Marconi», da sempre, fornisce ai propri studenti i necessari strumenti critici (letture guidate dai docenti, viaggi, incontri tematici, spettacoli) per leggere con maggiore consapevolezza il mondo di ieri e quello di oggi.