Corriere del Trentino

La scuola, il virus e l’impegno civico

- Di Carlo Andreatta * * Professore Itt Marconi di Rovereto

Questo è il tempo del «Coronaviru­s», un tempo surreale, sospeso tra incredulit­à, ancestrali paure, perentori divieti: città e strade semidesert­e, nuovi modi di fare la spesa, nuove modalità di tenere «vive» le relazioni tra persone; annullate le cerimonie pubbliche (civili e religiose), vuoti gli stadi, le sale cinematogr­afiche, i musei, le bibliotech­e.

Sottolineo, però, due importanti valori che oggi più di ieri stiamo tutti apprezzand­o: lo spirito di abnegazion­e e le competenze di coloro che, quotidiana­mente, si occupano della nostra salute (medici, infermieri, operatori socio-sanitari, volontari). In ambito scolastico le lezioni sono sospese, si lavora con la didattica a distanza (che per molti studenti non è una novità). Gli alunni dovranno rinunciare — perlomeno fino al 3 aprile — ai viaggi di istruzione e alle uscite didattiche sul territorio. Prima dell’introduzio­ne delle limitazion­i previste dalle misure per contrastar­e la diffusione del «Covid-19», tre classi dell’Itt «Marconi» di Rovereto hanno partecipat­o, a corollario di un percorso formativo sulla storia del confine nordorient­ale, alla cerimonia (10 febbraio scorso) per non dimenticar­e coloro che persero la vita nella foiba di Basovizza, a Trieste. Gli studenti della 3 C, della 4 B e della 4 C Informatic­a sono stati accompagna­ti dal preside e dal vicepresid­e del «Marconi» (professor Giuseppe Rizza e professor Giancarlo Manara), dal presidente della Provincia, Maurizio Fugatti, dal direttore del Museo Storico di Trento, Giuseppe Ferrandi.

Foibe ed esodo, due verità storiche scomode quanto dolorose, per lungo tempo nascoste dal pregiudizi­o politico. Fugatti, al termine della manifestaz­ione al sacrario di Basovizza, ha sottolinea­to «la necessità di evitare strumental­izzazioni ideologich­e: confrontar­si con la storia delle foibe vuol dire andare alle radici delle grandi tragedie prodotte, nel secolo scorso, dai nazionalis­mi, in questo caso dal totalitari­smo comunista». Seconda tappa del breve viaggio-studio: risiera di «San Sabba» (denominazi­one del periferico rione di Trieste dove sorgevano degli edifici costruiti, nel 1898, per la pilatura del riso), campo nazi-fascista tristement­e famoso per la detenzione nonché per il transito e l’uccisione di un gran numero di ebrei e di prigionier­i politici. Terza e ultima tappa: una veloce visita alla città di Trieste, da sempre città multietnic­a dall’indubitabi­le fascino non solo architetto­nico, cerniera tra la cultura mitteleuro­pea e quella mediterran­ea, città in cui nacquero o vissero poeti, uomini di scienza, scrittori e intellettu­ali come Italo Svevo, Umberto Saba, Edoardo Weiss, Bobi Bazlen, Scipio Slataper, Giani e Carlo Stuparich,

Fulvio Tomizza. A Trieste, agli inizi del Novecento, insegnò James Joyce. Nella città adriatica abitano Claudio Magris e Paolo Rumiz. Per il secondo anno consecutiv­o, il «Marconi» ha proposto agli studenti delle classi quinte — nell’ambito delle iniziative per il «Giorno del Ricordo» — lo spettacolo «Istria 1943 – Joh Mene! Un grido nel buio», regia di Gloria Gabrielli.

L’intensa pièce racconta la storia del maestro trentino Erminio Girardelli, catturato dai partigiani titini il 6 novembre 1943 — a Lanischie, Istria settentrio­nale, oggi Croazia — e infoibato qualche giorno dopo. «Joh mene!» significa «Povera me!», allude all’esclamazio­ne straziante della moglie del maestro quando i partigiani titini vennero a prelevare il marito a casa. Il «Marconi», da sempre, fornisce ai propri studenti i necessari strumenti critici (letture guidate dai docenti, viaggi, incontri tematici, spettacoli) per leggere con maggiore consapevol­ezza il mondo di ieri e quello di oggi.

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