UN CONTRIBUTO ALLA CAUSA
Le immagini sono eloquenti: auto e moto dei vigili urbani che in una splendida domenica di marzo si mettono di traverso per dissuadere i cittadini dall’affollare le passeggiate. Non c’è metro di distanza e aria aperta che tengano contro un concreto rischio di contagio in caso di affollamento, eppure per un numero non indifferente di persone l’interpretazione autentica del «io resto a casa» non prevede comportamenti tanto restrittivi da vietargli la corsetta, la passeggiata per prendere un po’ di sole, la sciata, l’uscita (la possiamo ancora chiamare di piacere?). Forse si tratta di cittadini che hanno deciso di uscire da soli e sempre da soli di incamminarsi per parchi e giardini. Salvo poi accorgersi che molti altri hanno avuto la medesima idea e ritrovarsi così intruppati.
Èsolo uno dei tanti comportamenti che in questi giorni rischiano di vanificare gli sforzi di quanti si prodigano per arginare la diffusione del virus. Mai come in questi momenti sarebbe importante, ma meglio sarebbe dire decisivo, che ognuno di noi rispondesse all’appello alla responsabilità. Un richiamo che non comporta solo l’essere d’accordo nel combattere una battaglia per una causa comune, ma anche il dover dare un proprio concreto contributo per combatterla. Alla voce responsabilità il dizionario rimanda al significato di «rispondere di qualcosa a qualcuno». Un concetto che implica il riconoscimento di una relazione, l’esistenza di un altro o altri cui devo rispondere. Non ci sono solo io, con la mia autonomia di individuo, c’è un mondo di relazioni che mi circonda e in cui sono immerso. Viviamo sicuramente tempi — e qui il coronavirus non c’entra — in cui il lessico della solidarietà e del saper convivere ha scarsa fortuna. Prevalgono su tutto il privato e i suoi interessi. Lo stesso concetto di autonomia, di libera scelta, pare combinare poco con la consapevolezza delle ricadute del mio agire sugli altri. L’idea di responsabilità chiama in campo due libertà, quella dell’io e quella dell’altro, che devono saper trovare il loro giusto equilibrio armonico. C’è un limite alla mia libertà e con questo limite, come sostiene la filosofa Vittoria Franco, la responsabilità diventa «farsi carico» di qualcuno o di qualcosa. In questa visione c’è una bella e promettente vicinanza con l’idea stessa dell’aver cura, del prendersi cura di sé e di quanto ci circonda. Un modo di essere e, soprattutto, di fare, perché sottintende un agire che non dimentica gli altri con cui si condivide il mondo. L’immagine dell’infermiera che culla l’Italia è forse la perfetta trasposizione, in simili giorni di pena, di questa interpretazione del concetto laico e cristiano di responsabilità. L’«io resto a casa» non lo è da meno. Anche se suona paradossale, rimanere soli ha tutto il valore di un gesto solidale.