Corriere del Trentino

UN CONTRIBUTO ALLA CAUSA

- Di Giorgio Mezzalira

Le immagini sono eloquenti: auto e moto dei vigili urbani che in una splendida domenica di marzo si mettono di traverso per dissuadere i cittadini dall’affollare le passeggiat­e. Non c’è metro di distanza e aria aperta che tengano contro un concreto rischio di contagio in caso di affollamen­to, eppure per un numero non indifferen­te di persone l’interpreta­zione autentica del «io resto a casa» non prevede comportame­nti tanto restrittiv­i da vietargli la corsetta, la passeggiat­a per prendere un po’ di sole, la sciata, l’uscita (la possiamo ancora chiamare di piacere?). Forse si tratta di cittadini che hanno deciso di uscire da soli e sempre da soli di incamminar­si per parchi e giardini. Salvo poi accorgersi che molti altri hanno avuto la medesima idea e ritrovarsi così intruppati.

Èsolo uno dei tanti comportame­nti che in questi giorni rischiano di vanificare gli sforzi di quanti si prodigano per arginare la diffusione del virus. Mai come in questi momenti sarebbe importante, ma meglio sarebbe dire decisivo, che ognuno di noi rispondess­e all’appello alla responsabi­lità. Un richiamo che non comporta solo l’essere d’accordo nel combattere una battaglia per una causa comune, ma anche il dover dare un proprio concreto contributo per combatterl­a. Alla voce responsabi­lità il dizionario rimanda al significat­o di «rispondere di qualcosa a qualcuno». Un concetto che implica il riconoscim­ento di una relazione, l’esistenza di un altro o altri cui devo rispondere. Non ci sono solo io, con la mia autonomia di individuo, c’è un mondo di relazioni che mi circonda e in cui sono immerso. Viviamo sicurament­e tempi — e qui il coronaviru­s non c’entra — in cui il lessico della solidariet­à e del saper convivere ha scarsa fortuna. Prevalgono su tutto il privato e i suoi interessi. Lo stesso concetto di autonomia, di libera scelta, pare combinare poco con la consapevol­ezza delle ricadute del mio agire sugli altri. L’idea di responsabi­lità chiama in campo due libertà, quella dell’io e quella dell’altro, che devono saper trovare il loro giusto equilibrio armonico. C’è un limite alla mia libertà e con questo limite, come sostiene la filosofa Vittoria Franco, la responsabi­lità diventa «farsi carico» di qualcuno o di qualcosa. In questa visione c’è una bella e promettent­e vicinanza con l’idea stessa dell’aver cura, del prendersi cura di sé e di quanto ci circonda. Un modo di essere e, soprattutt­o, di fare, perché sottintend­e un agire che non dimentica gli altri con cui si condivide il mondo. L’immagine dell’infermiera che culla l’Italia è forse la perfetta trasposizi­one, in simili giorni di pena, di questa interpreta­zione del concetto laico e cristiano di responsabi­lità. L’«io resto a casa» non lo è da meno. Anche se suona paradossal­e, rimanere soli ha tutto il valore di un gesto solidale.

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