Corriere del Trentino

Il talento di Fede Galizia

Figlia di un pittore di miniature, fu tra le prime ad avere successo

- Di Veronica Tuzii

Sulla spada che impugna la protagonis­ta della storia ecco inciso un nome: Fede. Un nome che aveva pure il significat­o di ricordare la fede nel Signore, a imprimere il coraggio per compiere quel folle gesto. Fede Galizia dipinse «Giuditta e Oloferne» nel 1596, una tela pregna di drammatici­tà. Chissà perché le pittrici, da Lavinia Fontana alla celeberrim­a Artemisia Gentilesch­i, erano ossessiona­te da questo soggetto…

Curata da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, s’intitola «Fede Galizia. “Amazzone nella pittura”» la mostra allestita dal 4 luglio al 25 ottobre al Castello del Buonconsig­lio di Trento (che l’ha prodotta), terra d’origine della famiglia di Fede, che fu tra le prime donne pittrici a conquistar­e riconoscim­enti e successo internazio­nali, ottenendo incarichi di norma riservati solo ai maschi, arrivando tramite la mediazione di Giuseppe Arcimboldi, fino a Praga alla corte imperiale di Rodolfo II d’Asburgo. Come lei, tra Cinque e Seicento, a compiere la rivoluzion­e del pennello al femminile si ricordano Sofonisba Anguissola e le già citate Fontana e Gentilesch­i. «In un mondo di committenz­e riservato ai pittori – marcano i curatori – la fortuna di Fede Galizia sta nel fatto che questa pittrice veniva apprezzata proprio in quanto donna. Lo dimostrano le tante attestazio­ni letterarie coeve. Anche perché, a differenza di Sofonisba Anguissola che proveniva da una famiglia estranea al mondo artigiano dalla forte connotazio­ne umanistica, Fede nasceva proprio artista».

La Galizia (prima del 1578dopo il 1630) era forse nata a Milano, dove la famiglia si era trasferita. Ragazza prodigio, è

 Talento In un mondo di committenz­e riservato ai pittori, la sua fortuna stava nel fatto di essere apprezzata proprio in quanto donna. Tante lettere lo dimostrano

figlia di un pittore di miniature, ma anche incisore e più in generale coinvolto nel mondo del lusso, dall’abbigliame­nto all’oreficeria. Dal padre Nunzio, Fede aveva appreso l’arte nella sua protetta bottega. Non si sposò mai e morì probabilme­nte di peste. Abile a rappresent­are soggetti sacri e storici, ma anche ritratti e nature morte, sono proprio queste ultime ad averle portato la maggior fama, tanto da essere considerat­a uno dei fondatori del genere dello still life. Una di queste piccole opere recentemen­te è stata battuta a un’asta newyorches­e alla cifra di poco meno di due milioni di euro.

Pesche, pere, gelsomini e rose, frutti e fiori (quasi da toccare con mano) trattati con un gusto geometrico della forma, le sobrie nature morte attribuite alla Galizia fondono le suggestion­i fiamminghe alla tradizione del naturalism­o lombardo e hanno un’impostazio­ne seriale: emergono da un fondo scuro, sono composizio­ni semplici, con punto di vista ravvicinat­o, quasi sempre frontale. Pervase da una vena malinconic­a, anche se distanti quattro secoli, ricordano le nature di Morandi. Roberto Longhi, tra i maggiori storici dell’arte del secolo scorso, le definisce «attente ma contristat­e». Nella mostra al Castello del Buonconsig­lio ne troviamo alcune declinazio­ni.

Sono invece una novantina (con alcune opere di confronto, come le «Quattro stagioni in una testa», del 1590 circa, del suo mentore Arcimboldo, dalla National Gallery di Washington) i pezzi che saranno esposti nella rassegna, che punta a evidenziar­e non solo la riconosciu­ta maestria nelle rappresent­azioni di fiori e frutta, ma il percorso di un’autrice «a tutto tondo, capace di replicare le sue composizio­ni caratteriz­zate da uno stile tardo manierista a volte difficile da decifrare nelle sue componenti», spiegano Agosti e Stoppa. Fede ha lasciato preziose pale d’altare - come «Noli me tangere» (1616), che vedremo giungere dalla Pinacoteca di Brera, Milano - e ha affrontato soggetti biblici, come quella Giuditta menzionata che, imperturba­bile, esibisce su un vassoio la testa decapitata di Oloferne, tema più volte ripetuto (in mostra ne troviamo quattro versioni, a partire da quella più famosa dal Ringling Museum of Art, Sarasota, Florida). Le sue Giuditte dai dettagli elaborati, nelle vesti e nelle sofisticat­e capigliatu­re, ricordano come la Galizia abbia appreso la tecnica della miniatura nella bottega paterna.

Ma Fede Galizia era anche apprezzata ritrattist­a, e lo vedremo nell’emozionant­e «Ritratto di Federico Zuccari» (1604, Gallerie degli Uffizi, Firenze) e nel «Ritratto di Paolo Morigia» (prima del 1595, Pinacoteca Ambrosiana, Milano), che sorprende per la pastosità materica che va insieme alla verità ottica. Sono invece da rintraccia­re i ritrattini, piccoli ovali come usava fare Fede, di Margherita d’Austria e Isabella Clara Eugenia, testimonia­nza di una committenz­a di prestigio di cui godeva la nostra artista, tutta da riscoprire.

 ??  ?? Nella foto grande «Giuditta e Oloferne» 1598, Ringling Museum of Art, Sarasota, Florida. Dall’alto «Noli me tangere», Pinacoteca di Brera, Milano. «San Carlo in procession­e con il Santo Chiodo», 1615.
Nella foto grande «Giuditta e Oloferne» 1598, Ringling Museum of Art, Sarasota, Florida. Dall’alto «Noli me tangere», Pinacoteca di Brera, Milano. «San Carlo in procession­e con il Santo Chiodo», 1615.
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