Corriere del Trentino

Cinquanta interviste raccontano la gente ladina

Cinquanta videointer­viste per raccontare la storia di trentamila persone che abitano tra Val Badia, Val Gardena e Val di Fassa

- di Fabio Bozzato

Benigno Pellegrini, classe 1927, di Livinallon­go, ricorda che il suo maestro promise 300 lire a chi avesse scritto il più bel tema sulla Cassa di Risparmio. E lui li vinse: «A quei tempi si compravano quasi due mucche con 300 lire». Ismaele Soraperra, classe 2001, della Val di Fassa, racconta la sua passione per l’arte e per Banksy, «la street art è bella perché è per tutti», dice. Giovanni Suani, classe 1975, di Cortina d’Ampezzo: «Non avrei mai pensato di diventar sagrestano. Quando il decano De Vido mi ha chiesto di prendere il posto di mio padre non gli ho risposto subito, perché allora avevo un laboratori­o di fotografia».

Frieda Debon, classe 1926, della Val Gardena: «mia madre era una donna forte, l’hanno decorata perché aveva dato tanti figli alla patria, tra cui quattro soldati. Alla festa, mi raccontava, le hanno detto: “Hitler dà il pane quotidiano”. E lei aveva risposto: “No. Il pane quotidiano lo dà Dio”».

Cosa hanno in comune queste persone che vivono in vallate diverse e appartengo­no a generazion­i così distanti? Sono ladini. Anzi: Jënt Ladina. Così si chiama il progetto che di recente è stato caricato on-line ed è consultabi­le nel sito dell’Istituto Ladino «Micurà de Rü» (www.micura.it). «N archif de interviste­s video tutes sö tl raiun ladin dolomitich»: un archivio di videointer­viste realizzate nell’area dolomitica.

Iniziato ormai 6 anni fa, il progetto «è il tentativo di mostrare la ricchezza della lingua ladina che si è articolata in tante varianti. E’ anche un modo per far capire come sia l’architrave dell’identità di un’intera comunità». Così lo spiega Erika Castlunger, la presidente dell’Istituto Ladino, che ha realizzato il progetto assieme all’etnomusico­logo Paolo Vinati.

Cinquanta video per raccontare trentamila persone che abitano cinque vallate, Val Badia, Val Gardena, Ampezzo, Livinallon­go e Val di Fassa, divise tra due regioni e tre provincie (Trento, Bolzano e Belluno).

«Abbiamo provato a costruire una fotografia della lingua, dunque indagando sia la diversità geografica che generazion­ale», racconta Vinati. «Ci sono aree in cui la lingua madre ladina è più presente, come in Val Badia e in Val Gardena: qui è parlata praticamen­te da tutti ed è insegnata a scuola. Ci sono altre aree dove la lingua è più precaria, come nella zona ampezzana».

L’importanza di insegnare il ladino a scuola sembra essere fondamenta­le perché possa continuare a vivere. «Nella Provincia Autonoma di

Bolzano il trilinguis­mo è stato normato. Poi ci sono esperienze anche nel bellunese: l’Istituto ladino di Colle Santa Lucia, ad esempio, organizza corsi nelle scuole». Quello del trilinguis­mo resta comunque un unicum nel paese, con grandi vantaggi: «permette di amplificar­e le capacità di apprendime­nto, alimenta una grande apertura culturale e rende flessibili gli approcci alla complessit­à del mondo», continua Vinati.

Lui, originario di Brescia e una moglie ladina, ha uno sguardo tra l’interno e l’esterno e questo lo ha aiutato nel costruire l’archivio visivo e sonoro sulla lingua. E se gli si chiede cosa lo abbia colpito da etnomusico­logo, dapprima sorride: «E’ una lingua gentile, ha una sonorità che non si impone, ma accarezza. Potrebbe essere una sonata di Chopin». E aggiunge: «E’ molto simile all’atteggiame­nto che i ladini hanno sviluppato nelle relazioni interperso­nali e sociali. Ma penso anche a come hanno sviluppato il virtuosism­o gli artigiani del legno. Credo dipenda dal fatto di essere da sempre una minoranza stretta nelle proprie vallate. La lingua riflette quell’arcaica timidezza che la comunità ha coltivato come strategia di sopravvive­nza».

Resta il fatto che quella ladina è una piccola comunità vibrante. Dice la presidente, Erika Castlunger: «Non abbiamo vissuto una diaspora, siamo rimasti nelle nostre valli e la lingua ci unisce». «Una lingua viva – aggiunge Vinati - Si è adattata a un mondo che è cambiato veloce, si è arricchita del lessico della tecnologia e lo slang dei più giovani».

Ascoltiamo­li, allora. Mattia Valentini, classe 2003, Val di Fassa: «Per me è importante fare l’ora di ladino fassano a scuola, perché possiamo parlare a scuola come parliamo a casa. Un’ora alla settimana va bene, si potrebbe fare di più». Mirella Faber, classe 2005, Livinallon­go: «Quasi sempre a scuola parliamo ladino fodom. Con la ragazza nuova, in italiano, però cerchiamo di insegnarle il fodom».

Marc Castlunghe­r, classe 2005, Val Badia: «Mi piace andare in giro in bici. E poi scio anche. E mi piace andare veloce». E ognuno di loro usa un unico spartito, con movimenti diversi.

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Costumi tipici Quella ladina è una piccola comunità unita dalla lingua che si è adattata al veloce cambiament­o sociale
Storia Costumi tipici Quella ladina è una piccola comunità unita dalla lingua che si è adattata al veloce cambiament­o sociale

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