Dal Laos a Trento, odissea di una studentessa «Trattata come un untore, ho capito i cinesi»
La giovane ha rischiato di restare bloccata in Thailandia. «Ora sono in quarantena»
TRENTO Una mini odissea dal Laos a Trento, l’ennesima conseguenza collaterale dell’emergenza coronavirus. Si è conclusa positivamente l’avventura di una giovane studentessa trentina che ha rischiato di rimanere bloccata dall’altra parte del mondo a causa della chiusura delle frontiere. E che avverte: «Il panico e l’odio sono dannosi».
«Era il 12 marzo — racconta la giovane —. Quando ho saputo che tutta l’Italia era stata dichiarata zona rossa ero in Laos, in viaggio tra i villaggi più piccoli. Ho realizzato che la situazione poteva complicarsi ed ho quindi deciso di cercare di tornare immediatamente in Italia. Ho preso il primo mezzo di fortuna che ho trovato e mi sono diretta verso il confine con la Thailandia».
Ma da una giusta intuizione inizia l’odissea: «Mentre ero in viaggio ho ricevuto la telefonata dell’ambasciatore che mi comunicava che una nuova ordinanza del governo thailandese, emanata subito dopo quella del governo italiano, chiudeva i confini del Paese per tutti gli italiani. Sono riuscita a entrare in Thailandia poche ore prima che entrasse in vigore».
Qui il doppio ostacolo del definitivo rientro a casa e dello stigma di «untore»: «Nel Paese si è diffuso il panico e un atteggiamento di ostilità nei confronti degli italiani, solo perché il nostro Paese era stato dichiarato zona rossa. Ho capito cosa devono aver provato i cinesi in Italia nelle prime settimane di epidemia. Le difficoltà per tornare sono state massime: il mio volo di rientro era previsto solo una settimana dopo, ma non potevo aspettare. Appena ho acquistato il nuovo biglietto con Emirates la compagnia ha sancito la cancellazione di tutti i voli verso l’Italia».
Un altro colpo di fortuna permette alla giovane di tornare a casa: «Emirates ha concesso un solo volo al giorno, a giorni alterni e solo su Roma, per permettere agli italiani di rimpatriare.
Una volta arrivata a Roma ho quindi preso un treno fino a Trento e sono finalmente arrivata a casa». Poi il pensiero va ai tanti studenti Erasmus che in queste ore stanno riflettendo se tornare oppure no: «Se avessi avuto una sistemazione più sicura forse sarei rimasta là, ma trascorrere due mesi in un ostello in un Paese quasi completamente privo di sistema sanitario sarebbe stato troppo pericoloso. Ora mi sono messa in autoquarantena: sto bene, ma dopo tre giorni tra aeroporti e stazioni non voglio correre il rischio di poter infettare la mia famiglia. Da ciò che ho visto in questi giorni mi sento però di dire: giusta prudenza sì, ma il panico è inutile e dannoso».
Erasmus
Il pensiero ai coetanei nel mondo: «Sarei rimasta là con una sistemazione sicura»