Nadia Scappini racconta l’esistenza umana
L’autrice trentina pubblica una raccolta di racconti dallo stile limpido e lineare, che sono una riflessione sull’esistenza e la paura della morte
La scrittura c’è, nel senso che lo stile di Nadia Scappini è perfettamente limpido, lineare, mai involuto, mai pesante. Lo sapevamo già dalle altre sue opere, in particolare quelle in versi, ma ne troviamo la felice riconferma nel suo recentissimo libro, Topografie interiori (Ed. Reverdito, pagg. 195, € 15,00), una raccolta di racconti divisa in due: nella prima metà protagoniste sono le donne, nella seconda gli uomini. E la bella introduzione di Roberta Scorranese, scrittrice a sua volta, è invogliante.
Oltre alla scrittura troviamo in questi nuovi testi il pensiero, e cioè la riflessione lucida, profonda, quasi filosofica sull’esistenza umana, sulla condizione femminile, sul rapporto genitori-figli, sui sogni perduti dei giovani, sulla paura della morte. Si può perciò affermare con una certa sicurezza che è bene equipaggiata per affrontare il grande mare della narrazione. I nuovi racconti sono di natura abbastanza diversa: a volte sono piuttosto dei ritratti, a volte dei fermo immagine che fotografano delle situazioni, a volte dei veri e propri svolgimenti, strutturati come brevi romanzi. In comune hanno che le trame non prevedono colpi di scena e che gli avvenimenti sono interiori, di natura sentimentale, per così dire. Questo è, del resto, il campo di esplorazione cui l’autrice si dedicata da tempo. Né è un caso se le «topografie» del titolo sono appunto «interiori». Altra cosa ancora hanno in comune i suoi racconti ed è che i vari protagonisti si ritrovano per lo più con un unico interlocutore, un’unica controparte; che non necessariamente è una persona, ma può essere il ricordo di una donna amata, può essere una malattia grave. All’autrice interessano le evoluzioni dei rapporti interpersonali, per esempio tra un padre con un figlio oppure tra una liceale e il suo primo filarino. Ma poi ci sono anche la moglie perfetta che riesce -forse- a tenere testa al marito macho e l’aspirante scrittore che dopo lunga e faticosa marcia di avvicinamento arriva a diventarlo per davvero.
Inevitabile è la domanda che il lettore tende peraltro a porsi sovente: quanto di autobiografico c’è nelle «Topografie»? La risposta non può che essere banale: una percentuale variabile come succede per quasi tutte le opere di narrativa. Se poi si volesse allargare il concetto di autobiografia a quel che si è visto e ascoltato, va ricordato che lo scrittore è come il cercatore di funghi che va nel bosco e raccoglie tutto quello che gli piace: poi a casa farà la scelta tra quel che gli interessa e quel che non gli serve. Ed è probabile che Nadia Scappini sia andata anche lei con il suo cesto a raccogliere impressioni, parole, storie.
Famiglia La prosa affronta i rapporti nel nucleo