LA SCUOLA «SOCIAL»
Una ragazza cammina veloce per strada e si sfoga al telefono: «Il prof non ci ha mai dato da studiare e ora, con ‘sto cavolo di coronavirus, ci riempie di compiti». La battuta conferma che, nonostante i brontolii, gli alunni stanno rispondendo in modo positivo alle indicazioni di lavoro via web. La partecipazione virtuale è elevata: secondo Skuola.net coinvolge nove studenti su dieci.
Non c’è alcune ebbrezza nel fuggire le lezioni poiché quel contatto a distanza, pur non avendo la vivacità del reale, spezza l’isolamento e struttura le ore. Il nuovo scenario rivela in modo potente la funzione sociale e civile della scuola: interlocutore affidabile, comunità di cui sentirsi parte, luogo per ripensare insieme quel che si vive.
Gli strumenti digitali, a volte bistratti da qualche docente un po’ supponente, stanno dando prova delle loro potenzialità. Senza tali canali di comunicazione la clausura domestica sarebbe assai più opprimente. Certo non è facile improvvisare, inevitabilmente si trovano avvantaggiati gli istituti più dinamici e flessibili che già utilizzavano le nuove tecnologie. Il lamento della ragazza segnala però il rischio che la didattica a distanza si limiti all’assegnazione spasmodica di compiti, costringendo i genitori, in particolare dei più piccoli, a un surplus di lavoro. Il passaparola su Whatsapp e le cronache dei media raccontano in effetti qualche eccesso, ma al contempo testimoniano l’impegno generoso e creativo del personale scolastico.
Fondamentale che gli insegnanti tengano a bada l’ansia per i giorni perduti e si riapproprino del loro ruolo di adulti significativi. La scuola non è solo compiti, programmi, nozioni, esami. Soprattutto con gli adolescenti svolge un compito essenziale: provare a significare quel che sta accadendo, collocandolo nel più ampio orizzonte della storia del pensiero e dei saperi umani.
Onorando la propria vocazione culturale i docenti possono aiutare i ragazzi a trovare informazioni corrette e al contempo a dar voce a paure, angosce, speranze che turbano l’animo di ciascuno. A tal fine la comunicazione non può essere unidirezionale. Un buon educatore lascia spazio all’ascolto, anche nelle poche righe di una mail, affinché l’altro esprima, come può, stati d’animo, interrogativi, pensieri. Così si raccontano i giorni, si condivide lo smarrimento, si alimenta il coraggio per affrontare la comune quotidianità. Una scuola «social» contribuisce a elaborare il nuovo rapporto con il tempo, non più centrato sul presente da consumare, ma proiettato verso un futuro da attendere e rendere possibile con le odierne rinunce e fatiche.