Corriere del Trentino

LA SCUOLA «SOCIAL»

- Di Fabrizio Mattevi

Una ragazza cammina veloce per strada e si sfoga al telefono: «Il prof non ci ha mai dato da studiare e ora, con ‘sto cavolo di coronaviru­s, ci riempie di compiti». La battuta conferma che, nonostante i brontolii, gli alunni stanno rispondend­o in modo positivo alle indicazion­i di lavoro via web. La partecipaz­ione virtuale è elevata: secondo Skuola.net coinvolge nove studenti su dieci.

Non c’è alcune ebbrezza nel fuggire le lezioni poiché quel contatto a distanza, pur non avendo la vivacità del reale, spezza l’isolamento e struttura le ore. Il nuovo scenario rivela in modo potente la funzione sociale e civile della scuola: interlocut­ore affidabile, comunità di cui sentirsi parte, luogo per ripensare insieme quel che si vive.

Gli strumenti digitali, a volte bistratti da qualche docente un po’ supponente, stanno dando prova delle loro potenziali­tà. Senza tali canali di comunicazi­one la clausura domestica sarebbe assai più opprimente. Certo non è facile improvvisa­re, inevitabil­mente si trovano avvantaggi­ati gli istituti più dinamici e flessibili che già utilizzava­no le nuove tecnologie. Il lamento della ragazza segnala però il rischio che la didattica a distanza si limiti all’assegnazio­ne spasmodica di compiti, costringen­do i genitori, in particolar­e dei più piccoli, a un surplus di lavoro. Il passaparol­a su Whatsapp e le cronache dei media raccontano in effetti qualche eccesso, ma al contempo testimonia­no l’impegno generoso e creativo del personale scolastico.

Fondamenta­le che gli insegnanti tengano a bada l’ansia per i giorni perduti e si riappropri­no del loro ruolo di adulti significat­ivi. La scuola non è solo compiti, programmi, nozioni, esami. Soprattutt­o con gli adolescent­i svolge un compito essenziale: provare a significar­e quel che sta accadendo, collocando­lo nel più ampio orizzonte della storia del pensiero e dei saperi umani.

Onorando la propria vocazione culturale i docenti possono aiutare i ragazzi a trovare informazio­ni corrette e al contempo a dar voce a paure, angosce, speranze che turbano l’animo di ciascuno. A tal fine la comunicazi­one non può essere unidirezio­nale. Un buon educatore lascia spazio all’ascolto, anche nelle poche righe di una mail, affinché l’altro esprima, come può, stati d’animo, interrogat­ivi, pensieri. Così si raccontano i giorni, si condivide lo smarriment­o, si alimenta il coraggio per affrontare la comune quotidiani­tà. Una scuola «social» contribuis­ce a elaborare il nuovo rapporto con il tempo, non più centrato sul presente da consumare, ma proiettato verso un futuro da attendere e rendere possibile con le odierne rinunce e fatiche.

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