«I terreni di Cosa nostra in cambio di soldi puliti»
Il gip ricorda la storia degli «uomini d’onore» di Salemi
Nel decreto il gip ricostruisce la storia degli «uomini d’onore» di Salemi. Spuntano anche nomi di spicco della mafia. C’è anche il pentito Brusca.
L’obiettivo era quello di liberarsi di beni immobili gestiti attraverso attività criminali per sottrarli alla giustizia e «ripulirli». C’era tutto questo, secondo la Procura, ma è tutto da dimostrare, dietro alle due operazioni siciliane finite sotto la lente degli investigatori. Resta da capire, se la ricostruzione degli inquirenti venisse confermata, quanto sapessero gli imprenditori trentini degli affari e della parentela di Gian Luigi Caradonna con i Salvo (è il nipote di Antonino).
Al centro dell’indagine ci sono infatti i terreni nei comuni di Acate e Sambuca che sarebbero appartenuti a cugini Ignazio e Antonino Salvo, titolari della società Satris che gestiva nell’isola sicula la riscossione delle imposte. «Uomini d’onore della famiglia di Salemi del mandamento di Mazara del Vallo». Negli atti il gip ricostruisce la storia dei noti cugini che furono arrestati nel 1984 nell’indagine del giudice Giovanni Falcone. Era stato il pentito Tommaso Busecetta ad incastrarli. Ritenuti trait d’union con i vertici di «cosa nostra» di allora, Antonino (Nino) morì prima del dibattimento mentre Ignazio fu ucciso nel 1992 in un agguato mafioso
Questa è ormai storia. Ma per il gip «è indubitabile la connotazione mafiosa delle proprietà», poi acquisite dal gruppo vitivinicolo trentino. I fondi erano intestati alla Finanziaria Immobiliare spa, dopo la morte dei cugini passò agli eredi che trasferirono il ramo d’azienda, costituito da tre realtà agricole ad Acate,
Contrada Torrevecchia e Sambuca di Sicilia, nonché nella Contrada Maroccia di Mazara del Vallo, per 10 milioni di lire alla Agroinvest. «Società — viene evidenziato nel decreto di sequestro del gip — di Gianluigi Caradonna, nipote di Antonino Salvo e Giuseppe Maragioglio, ritenuto un uomo di fiducia dei Salvo». Negli atti spuntano nomi di spicco di «cosa nostra» da La Barbera a Messina Denaro. «Caradonna —ricorda ancora il giudice — fu definito da Giovanni Brusca “persona di fiducia di Nino Salvo, l’amminisratore e la mente di Nino».
Fu proprio Fabio Rizzoli — scrivono ancora gli inquirenti — insieme a Caradonna a stipulare il 16 febbraio 2001 il contratto di cessione di azienda da Agro Invest sas a Silene srl (società del gruppo Mezzacorona) . Gli assegni, il primo da oltre 8 milioni di lire e gli altri due da 4 e 36 milioni di lire, erano già stati versati. «Denaro ripulito», secondo l’accusa di cui, però, si sarebbero perse le tracce. Poco più di due anni dopo, il 15 maggio 2003, si perfeziona una seconda operazione. Villa Albius (società del gruppo Mezzacorona) acquisì terreni da G&G ss (di cui i soci unici sono Caradonna e Maragioglio).
Tre bonifici, due assegni e due contratti. Ed ecco che l’affare siciliano è concluso e «Cadronna e Maracioglio ricevono quasi 21 milioni di lire, denaro pulito — sottolinea il giudice delle indagini preliminari — facilmente occultabile».
Gli atti d’accusa
Nei documenti spuntano nomi di spicco della mafia, c’è anche il pentito Brusca