Corriere del Trentino

Ciclabili vietate e subito deserte Nastri, cartelli e agenti per blindarle

Le arterie per le due ruote transennat­e Restano fruibili alcuni percorsi in città ma solo per chi si reca al lavoro

- Chiara Marsilli Ch. M. Marzia Zamattio

TRENTO Detto, fatto. Giovedì sera l’annuncio del presidente della Provincia autonoma di Trento in diretta Facebook gelava le speranze di chi pensava ancora di poter utilizzare la bici per spostarsi in Trentino, ieri le ciclabili attorno e dentro alla città di Trento erano già deserte. Troppo alto il rischio, aveva annunciato Fugatti, che le belle giornate in arrivo inducesser­o gruppi di persone a salire in sella per delle gite fuori porta, tanto che con la medesima ordinanza è stato vietato l’accesso ai sentieri di montagna.

L’indicazion­e è stata resa operativa ieri in tarda mattinata, ancora prima che Fugatti firmasse il documento ufficiale. Una breve telefonata tra il presidente e il prefetto Sandro Lombardi e le squadre provincial­i erano partite all’azione. Le transenne con l’aquila fiammeggia­nte di San Venceslao e il nastro segnaletic­o bianco e rosso sono i segnali che da ieri fino a data da destinarsi bloccheran­no l’accesso alle ciclabili su tutto il territorio provincial­e. Semplici cartelli bianchi ne illustrano il motivo nel caso qualcuno poco avvezzo ai tg e ai giornali si fosse perso la notizia: «Emergenza Covid-19. Pista ciclopedon­ale chiusa».

Nella città di Trento il divieto di transito è stato reso operativo ai limiti della città. A sud sulla riva sinistra dell’Adige il limite è posto nei pressi del depuratore, subito prima del Bicigrill che era stato costretto a chiudere i battenti già la settimana scorsa, ma che ora appare interament­e cintato di nastro segnaletic­o, a ribadire l’impossibil­ità di accedervi. Sulla riva destra del fiume lo stop è stato fissato pochi chilometri più a nord, dove appena superato il ponte di Ravina la ciclabile si dirige

Un cartello all’ingresso di una ciclabile e sotto il presidio dei carabinier­i decisa verso Rovereto. Ancora percorribi­li, ma solo per motivi di comprovata necessità legata al lavoro, i numerosi chilometri di ciclopedon­ali interni al limiti cittadini. Su tutto il territorio cittadino e provincial­e già da tempo sono attive le forze dell’ordine a verificare che non si formino gli assembrame­nti responsabi­li del contagio, ma il messaggio di divieto per le ciclabili sembra aver avuto un effetto immediato e totalizzan­te: nel bel pomeriggio di ieri, caldo a sufficienz­a per mettere via il cappotto pesante e allietato da una leggera brezza da nord, l’intera rete ciclabile di Trento era pressoché deserta. Solo una ciclista solitaria, attrezzata di tutto punto con casco e scarpette, pedalava lungo il Fersina verso sud e, pur avvertita della presenza dei blocchi poco distanti, decideva di procedere come se nulla fosse almeno fin dove consente la legge.

Lo stop alle biciclette pare aver avuto un affetto collateral­e anche sulla circolazio­ne cittadina in generale all’interno di tutto lo spazio cittadino. I parchi e le strade, fino a giovedì ancora frequentat­i da qualche persona a passeggio e da qualche anziano che si fermava per qualche minuto su una panchina per respirare la prima aria primaveril­e, sono ora vuoti. Di tanto in tanto qualcuno con un cane, piccole file ordinate e silenziose davanti ai supermerca­ti o alle farmacie. Qualcuno di ritorno a casa dal lavoro, uscito la mattina in bici, ora cammina spingendol­a. Una premura in più forse, ma dettata dal clima di generale sospetto nei confronti di chi usa il mezzo a due ruote. Una sottile aria di insicurezz­a ora corre lungo i marciapied­i, complici anche le occhiate sospettose che sempre più spesso vengono lanciate in strada da chi trascorre la giornata sul balcone cercando di individuar­e gli ipotetici trasgresso­ri della legge. Null’altro interrompe il pomeriggio trentino di inizio primavera, che 13 giorni dopo l’emanazione del decreto nazionale si avvia a vivere una nuova fase di questa emergenza sanitaria. sono iscritti veneti e stanno aumentando i non trentini» racconta senza nascondere lo stupore e la soddisfazi­one — l’obiettivo è rendere i pomeriggi di zumba un appuntamen­to fisso. “Visto anche il grandissim­o successo avuto dall’iniziativa l’appuntamen­to verrà replicato di sicuro. Un modo per farsi compagnia in allegria e fare un po’ di movimento fisico in casa che continuerà per tutto il periodo di emergenza».

Adrian Gavriliu, nonostante la giovanissi­ma età, non è nuovo a iniziative di questo tipo e da alcuni anni collabora con il Comune e la circoscriz­ione di Gardolo per organizzar­e dei corsi gratuiti di zumba nel parco di Melta di Gardolo durante la stagione estiva: «Un modo per far avvicinare sempre più persone a questa disciplina e per riempire il parco di energia e persone positive, limitando le situazioni di degrado». circa l’una e in casa Moser a Gardolo di Mezzo, frazione di Trento che si affaccia sulla città, si ride e si scherza mentre si finisce il pranzo. L’ex campione e ciclista trentino, pluripremi­ato profession­ista dal 1973, è insieme al figlio Ignazio e alla fidanzata Cecilia Rodriguez. Ma Francesco Moser si distacca volentieri e spiega cosa ne pensa dell’emergenza coronaviru­s, delle ciclabili chiuse — «se serve, bene così» — delle misure («tardive») prese dall’Italia e dall’Europa, e racconta delle sue giornate da agricoltor­e (gestisce l’omonima azienda agricola), e da ciclista ancora attivo: «Avrei dovuto partecipar­e alla Milano-Sanremo domani (oggi, ndr), pazienza, intanto posso andare dentro e fuori per le vigne con la bici: potremmo fare un circuito di 2-3 chilometri qui», dice ridendo Francesco Moser. Poi si fa serio. E raccomanda: «È giusto seguire le regole, non andare sulle ciclabili anche se per molti è più difficile non vivendo in campagna», prosegue il Checco nazionale.

Francesco Moser, dove si trova adesso?

«Sono a casa, al maso di Gardolo di Mezzo con Ignazio e Cecilia, sono scappati da Milano per tornare qui, e ai quattro cani. Francesca è a Trento con la famiglia e anche Carlo. Noi ci salviamo con una proprietà grande con quasi 30 ettari di terreno. Da qui vedo la vallata che dorme tutta, vedo l’autostrada ferma, tutto sospeso, fa un certo effetto...».

Non certo problemi di spazio.

«Potrei allenarmi per le vigne anche se sono andato poco, perché stiamo potando le vigne piccole, ci sono già grosse gemme: gli operai in campagna possono lavorare, altrimenti si ferma tutto.

Cosa ne pensa delle ciclabili chiuse?

«L’ultima volta che sono uscito in bici è stato domenica 8 marzo. È giusto seguire le indicazion­i, noi certo siamo fortunati, altri meno, ma serve fare così».

Che idea si è fatto di questo virus?

«Quando si è saputo della situazione in Cina si doveva blindare subito tutta l’Europa: non hanno capito la gravità del problema, perché se lì era bloccato tutto, noi dovevamo subito bloccare chi entrava e prendere le misure necessarie. Dall’11 marzo sono uscito dal cancello solo due volte: per andare in farmacia e al supermerca­to».

Ora come viene gestita l’emergenza?

«Bene, ma vediamo se le soluzioni della Cina servono. Il mio messaggio è: state a casa, non c’è altro da fare e attendiamo di vedere come va, con fiducia. Poi si pedalerà».

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In vigna Francesco Moser con il figlio Ignazio

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