Emergenza nelle case di riposo tra vittime e operatori malati
In un giorno 13 decessi nelle Rsa Arco e Pergine: 100 dipendenti in meno nelle strutture «Ci serve aiuto per l’assistenza»
TRENTO Sanno bene che i loro ospiti sono fragili. L’hanno capito subito, forzando la mano e blindando le case di riposo trentine già dal cinque marzo. Nessun contatto con l’esterno, malgrado la Provincia inizialmente consigliasse l’ingresso di un familiare al giorno. «Se non l’avessimo fatto forse i numeri sarebbero più seri di così» riflette laconica Francesca Parolari, presidente dell’Upipa. Il quadro resta tuttavia critico: i contagi nelle strutture per anziani crescono di giorno in giorno e arrivano a quota 280 (110 in più in un giorno). Non solo: in 24 ore appena i decessi fra gli ospiti sono stati 13. A ciò si aggiunge la sicurezza dei dipendenti. Le case di riposo si sono mobilitate per recuperare dispositivi di protezione, maschere e mascherine per gli operatori. Seppur a fatica ora ci sono. Ma oggi c’è una nuova emergenza nell’emergenza: il personale manca. Solo a Pergine Valsugana 73 fra infermieri e operatori socio assistenziali (Oss) ieri erano in malattia; altri 30 circa mancavano alla struttura di Fondazione Comunità, ad Arco. E il problema è diffuso. Tant’è che il presidente della Rsa di Pergine ha chiesto aiuto alla Croce rossa per garantire assistenza minima agli ospiti (solitamente ci sono sei operatori per piano, ieri erano due). Idem ad Arco: il presidente s’è appellato alla protezione civile. Un effetto collaterale che ora grava sulle spalle di chi resta, fra straordinari e corse da un piano all’altro per garantire assistenza minima.
I numeri
Il balzo dei contagi è netto: giovedì gli ospiti delle case di riposo positivi al Covid erano 130, ieri 280. Centocinquanta in più in 48 ore. Numeri crudi a cui si aggiunge il censimento delle vittime: tredici in un giorno. E nelle circa cinquanta case di riposo del Trentino, che offrono cinquemila posti letto, la tensione cresce. L’Unione provinciale istituzioni per l’assistenza (Upipa) da settimane ha adottato protocolli di massima sicurezza. Ma nel tempo di una pandemia il virus si è comunque diffuso, in paricolare in tre zone: Pergine Valsugana (92 contagi), Arco (129) e Ledro (93). I numeri crescono, i problemi pure. La scarsità di dispositivi di protezione ha creato preoccupazione. Non solo tra infermieri e Oss. «La rapida impennata di casi di anziani ammalati di Covid-19 nelle case di riposo trentine spaventa anche le addette alle pulizie. C’è poca informazione e scarsa trasparenza da parte di alcune case di riposo nei confronti di queste lavoratrici, ingiustamente ritenute poco a rischio», denunciano Paola Bassetti della Filcams Cgil e Francesca Vespa della Fisascat Cisl.
Qui Pergine
La somma dei problemi ha generato un’emergenza nell’emergenza e a indicarla è il presidente della casa di riposo di Pergine Valsugana, Diego Pintarelli. «Abbiamo 73 dipendenti assenti per malattia — dice — Normalmente in un piano ci sono sei operatori a sostegno degli ospiti, ora due facendo salti mortali». Cosa significa? «Vuol dire che si riesce a malapena a garantire assistenza essenziale e per questo abbiamo chiamato i volontari della Croce rossa di Pergine per verificare se c’è disponibilità ad aiutarci nei piani, non nel nucleo isolato — prosegue il presidente — Abbiamo bisogno di qualche persona che venga ad aiutarci nell’idratazione degli ospiti e dare una mano con i pasti, perché abbiamo quaranta ospiti per piano». Nelle due sedi di via Pive e via Marconi il personale rimasto moltiplica in modo esponenziale gli sforzi. «Navighiamo a vista ma la situazione è critica — dice ancora — Ora confidiamo arrivi supporto, sennò dovremo trovarci a fare un appello ai perginesi e chiedere che qualcuno venga a darci una mano». Qualcuno già l’ha data: Li Xiarong, titolare del ristorante «Il giardino di Giada» ha consegnato in due tranche delle mascherine alla Rsa.
Qui Arco
I medesimi crucci li ha Fondazione comunità di Arco. «La situazione è grave in tutte le strutture dell’Alto Garda, qui è partito un focolaio divampato in fretta — ricorda il presidente Paolo Mattei — Ma abbiamo reagito con procedure rigorose». Il senso di responsabilità è tanto. «Non dormiamo la notte, nessuno di noi ci riesce. C’è poco altro da dire», prosegue. E anche qui il problema del personale che non c’è è esploso con la medesima rapidità con cui si sono manifestati i contagi. «La vera emergenza riguarda il personale», rimarca Mattei. Una trentina i dipendenti in malattia ieri ad Arco. «Quelli
pazienti possono essere sottoposti a ventilazioni non invasive, creando un presidio ponte per limitare le persone destinate alla terapia intensiva, quindi da intubare».
Come cambiano i protocolli terapeutici quando si tratta di un virus così aggressivo e poco conosciuto?
«Oltre alla rianimazione e ai medici internisti, a Rovereto ci sono competenze di specialisti in malattie infettive che sono stati potenziati: ora sono tre gli infettivologi; l’Azienda è stata molto solidale e ci ha fornito di tutto ciò che serviva in tempi brevissimi. Le procedure cambiano alla velocità della luce, non essendoci terapie standardizzate perché il virus non è conosciuto. Seguendo quanto successo in Cina sono state introdotte terapie antivirali, poi nelle ultime settimane le società scientifiche di infettivologia hanno messo a disposizione protocolli che sono in continua evoluzione perché continuano ad arrivare informazioni su più fronti».
L’isolamento crea un ulteriore fardello: il personale sanitario è la congiunzione fra i pazienti e le famiglie che, lontane, attendono. Come costruite i contatti?
«Ci siamo subito il problema e l’equipe medica che segue i pazienti si occupa di contattare telefonicamente i familiari di riferimento. È una informativa, una telefonata che giornalmente facciamo per dare notizie e stabilire un collegamento. Ora l’Azienda sta però pensando a nuovi strumenti per le comunicazioni, un aspetto importantissimo».
E i pazienti come reagiscono anche psicologicamente? Sono spaventati?
«Anche in questo caso è centrale il ruolo del personale sanitario che cerca di mantenere un clima sereno. Il caos dell’emergenza sanitaria globale lo teniamo da parte. E le persone si affidano, quando poi le cose vanno bene ci sono grandi dimostrazioni di gratitudine. Perché, sì, abbiamo iniziato a dimettere pazienti e questo è un segnale importante anche per il personale sanitario, ci motiva. Tra noi e con la terapia intensiva c’è grandissima collaborazione».
In tutto il Paese si moltiplicano i gesti di vicinanza ai medici. Anche a Rovereto?
«Oh, sì. Fin da subito c’è stata una grande partecipazione della popolazione: dalla pasticceria al negozio che vende dolci e cioccolatini, fino alla pizzeria. Il reparto è blindato, ma c’è la nostra sala riunioni che è il luogo dove mangiamo qualcosa e spesso troviamo delle sorprese che, quando si stacca, fanno bene».
Le finestre Ci siamo subito posti il problema dei contatti con i familiari: l’équipe medica se ne fa carico chiamando ogni giorno per dare aggiornare i parenti
Le terapie Le procedure cambiano alla velocità della luce, perché il virus non è conosciuto. Seguendo quanto successo in Cina sono state introdotte terapie antivirali