«Ogni paziente che guarisce motiva tutti noi»
Sottolinearlo è quasi superfluo. Dal 7 marzo, ossia quando il primo paziente è arrivato a Rovereto, qui tutto è cambiato. Ora Santa Maria del Carmine è formalmente un Covid Hospital e i ricoveri crescono di ora in ora. Ma nel mezzo della difficoltà fisica e professionale — del resto la riscrittura di protocolli terapeutici arrovella la comunità scientifica internazionale — resta intonsa la tempra di medici e infermieri. La voce di Susanna Cozzio, mentre si muove agile in corsia, risuona con pacatezza e tranquillità.
Responsabile della Covid Unit e direttrice dell’unità operativa di medicina interna, Cozzio sottolinea il numero di pazienti guariti. Sul suo volto già ci sono i solchi della maschera protettiva, ma della fatica nelle sue parole non c’è cenno. «Assistiamo a forme di grandissima solidarietà», ripete. Quella che un tempo era la sala riunioni, nella ridefinizione degli spazi e tenendo conto dell’isolamento è diventata una sorta di sala mensa. E lì, a Rovereto, ogni giorno arrivano pizze, pasticcini, cioccolatini. Una carezza in differita che la popolazione consegna agli operatori.
Dottoressa, sono trascorsi esattamente venti giorni dal primo caso in Trentino. Da quel momento Rovereto è diventato l’hub Covid-19. Come è via via cambiata la routine professionale nel suo reparto?
«I primissimi casi sono stati ricoverati nel reparto malattie infettive del Santa Chiara, mentre il primo paziente di Rovereto è arrivato il 7 marzo. Da lì la situazione è esplosa e la direzione generale ha considerato giustamente di tenere libero il Santa Chiara e rendere Rovereto Covid Hospital per due motivi: perché c’è la rianimazione e perché abbiamo una parte della medicina interna di cui sono direttrice dedicata a pazienti che hanno bisogno di cure ad alta intensità. In questi casi c’è un monitoraggio dei parametri vitali continuo e i