«Governo, avviso tardivo Da noi regole cinesi»
Il presidente del gruppo mondiale «Qualcuno rischia di non rialzarsi La Cina è già tornata a correre»
Enrico Zobele, patron dell’omonimo gruppo internazionale, 5mila dipendenti, è critico sulle modalità con cui il governo ha comunicato la parziale chiusura dell’economia: «Il decreto è arrivato domenica alle 19.15, un po’ tardi per chi alle 6 di lunedì deve sapere se aprire». Zobele prosegue nella produzione: «Ogni 4 ore misuriamo la febbre ai nostri operai».
Il Covid-19 ci ha cambiati: misure di sicurezza rimarranno per sempre nelle ditte
Capisco tutto, ma non si può fare una conferenza stampa a mezzanotte ed emanare solo alle 19.15 di domenica il decreto che mi dice se alle 6 di lunedì mattina sarò aperto
L’Italia sta camminando su un filo sottile: da una parte i numeri drammatici della pandemia, dall’altra un sistema economico al collasso. E il rischio di cadere da questo filo c’è: «Alcune aziende potrebbero non alzarsi più» avverte Enrico Zobele, presidente del gruppo leader mondiale nel settore degli insetticidi e dell’air care (5mila dipendenti), che col Covid-19 ha dovuto fare i conti prima di altri, nel suo stabilimento cinese. «E questo ci ha dato alcuni suggerimenti: noi siamo aperti, macon le misure prescritte e anche alcune in più »
Presidente, che ne pensa dell’ultimo decreto governativo che ha disposto la chiusura di tutte le attività produttive non essenziali?
«Pur comprendendo tutti i problemi, penso che non si possa fare una conferenza sabato a mezzanotte ed emanare solo alle 19.15 della domenica il decreto che mi dice se alle 6 del mattino posso far lavorare i dipendenti».
Ma è giusto chiudere tutto o quasi?
«Onestamente non so dare un giudizio. Certo fermare tutto tutto no. La ripartenza non è scontata poi».
In effetti il ministro Boccia ha detto che il 70% delle aziende rischia di non riaprire più.
«Mi guardo bene dal dare numeri, osserviamo tutti come un faro di speranza quel 3 aprile scritto sugli ultimi decreti come data ultima di applicazione delle restrizioni: certo, il pericolo che alcune aziende non siano in grado di ripartire c’è; qualche caso si presenterà, non solo nelle industrie, anche commercio e turismo sono stati penalizzati in modo molto forte».
La Zobele di Trento si ferma o lavora?
«Qui a Trento siamo codice 20, produciamo insetticidi e prodotti per la pulizia e quindi siamo abilitati a continuare la produzione. Siamo in contatto continuo con la Rsu e devo dire che riscontro da parte di tutti una grossa dedizione. Abbiamo messo in campo tutte le misure necessarie e forse qualcuna in più».
Ossia?
«In questo momento la produzione (più di 200 operai inclusi gli stagionali, ndr) è a regime, ma oltre alle distanze e all’utilizzo delle mascherine e all’igienizzazione con i gel, procediamo a sanificazioni e pulizie continue e alla misurazione della febbre ogni 4 ore. Sul fronte degli impiegati, circa 150 persone, la stragrande maggioranza è in telelavoro».
E la situazione nel vostro stabilimento cinese com’è?
«In Cina è tornata la normalità, o quasi: abbiamo 2mila dipendenti che lavorano regolarmente, i servizi e i trasporti funzionano. Ovvio, con tutte le precauzioni che saranno mantenute per sempre: questa cosa la vita ce l’ha cambiata e la cambierà. Una delle più grosse multinazionali di elettrodomestici mia cliente ha mandato una circolare che annuncia la chiusura di tutti gli stabilimenti esclusa la Cina».
Chi lo avrebbe detto solo a fine gennaio...
«Già. E ora è tornata a essere la locomotiva del mondo».
Lei dice che le misure di sicurezza rimarranno nelle aziende, che in effetti, per la stragrande maggioranza non avevano piani per affrontare un’emergenza simile. Un errore?
« Il dato che mi ha lasciato più agghiacciato è che in tutta Italia ci fossero circa 5.400 letti di rianimazione e in Spagna 4.000 circa: dove abbiamo sbagliato? Con tre punti di domanda e 5 esclamativi».
E voi? Eravate attrezzati?
«In Cina un po’ ci ha colti di sorpresa, ma questo ci ha dato anche alcuni suggerimenti da applicare nelle altre realtà».
A partire dalle mascherine immagino che ora sono introvabili...
«Sì, abbiamo movimentato tutti i Paesi in cui operiamo, dalla Cina al Messico: abbiamo un assortimento di mascherine in varie lingue (sorride)».
Ma è possibile che siano prodotte solo in tre Paesi al mondo?
«Questa cosa ha sorpreso anche me. Credo che attrezzarsi un po’ ovunque nella produzione sia utile, senza esagerare: un’emergenza di questo tipo capita una volta nella vita. Una produzione eccessiva produrrebbe disoccupati».
Voi siete operativi un po’ in tutto il mondo: com’è la situazione negli altri Paesi?
«Stiamo diffondendo e implementando le misure di sicurezza ovunque. Al momento la situazione è regolare ma cresce la tensione un po’ ovunque: stamattina abbiamo saputo che l’India ha bloccato tutti i confini. Ormai non viviamo più alla giornata, ma all’ora».