Divisi dall’età, ma uniti contro Covid 19
Taufer (neolaureato): «Qui per aiutare». Berlanda (pensionato): più dura di Stava
Il giovane neolaureato che si trova catapultato in mezzo all’emergenza e il pensionato che è tornato in attività per dare il proprio contributo: due storie diverse unite dal coronavirus. Entrambi laureati a Padova, anche se a 38 anni di distanza, Marco Taufer e Giampaolo Berlanda raccontano la loro esperienza in prima linea. «Siamo l’ultimo tassello, ma possiamo dare una mano», spiega Taufer. «Nemmeno Stava fu così dura», ricorda Berlanda.
TRENTO L’Azienda sanitaria non ha fatto in tempo a chiamarlo, s’è fatto avanti prima lui. Ha anticipato i tempi e ha semplicemente detto: eccomi, ci sono. Senza fronzoli e senza orpelli retorici. «Siamo l’ultimo tassello di un sistema, ma se possiamo dare una mano, seppur con poca esperienza, lo facciamo». Tant’è che da ieri, Marco Taufer fa parte della squadra di cinque neolaureati in servizio a Mezzolombardo. Ha venticinque anni, è nato e cresciuto a Trento e ha studiato Medicina e chirurgia a Padova. Ma dalla laurea con alloro sul capo, lo scorso settembre, la consecutio degli eventi l’ha portato dove nessuno s’immaginava. Per il giovane medico questo è il tempo dell’esperienza, poi il cammino proseguirà. «Sì, perché mi specializzerò», rimarca.
Partiamo dall’inizio: quando si è laureato e dove ha studiato?
«Io ho studiato a Padova e mi son laureato a settembre. Dalla laurea, come da prassi, sono seguiti tre mesi di tirocinio, al Santa Chiara e a Cavalese, in attesa dell’esame di abilitazione. La data del test però è stata prima rimandata e poi annullata visto il momento e, ora, sono qui».
È evidente che mentre programmava la discussione della tesi non immaginava un inizio in corsia così rocambolesco, segnato da una pandemia. Quale specializzazione avrebbe voluto fare?
«Io sono ancora indeciso sulla specializzazione, al momento ho passato il concorso come medico di medicina generale, ora vediamo in futuro. O proseguirò su quella strada, quindi come medico sul territorio, oppure nelle emergenze seguendo un percorso internistico con approccio olistico».
Ne ha parlato con la sua famiglia prima di dare la disponibilità?
«Io non sono stato contattato dall’Azienda sanitaria come è successo ad altri miei colleghi, l’ho data prima io. Ne ho parlato con miei i genitori e erano d’accordo, ora prenderemo precauzioni a casa. C’è da dire che non ho nonni, ho solo i miei genitori che sono in salute. Avrei certamente considerato l’opportunità se avessi avuto un parente anziano, ma non è il mio caso».
Parla di precauzioni in casa: molti medici e infermieri oltre ai carichi del lavoro soffrono anche la lontananza dalle famiglie. Prenderà casa vicino a Mezzolombardo?
«A momento non è in programma, ma adotterò misure di precauzione stando a casa mia. Chiaramente mascherina e mi farò dedicare un bagno».
Come si è attrezzato nell’affrontare questo momento? Oltre alla formazione interna che riceverà ha letto qualcosa in più su questo virus?
«Ho seguito un corso intensivo, uno dei tanti percorsi di approfondimento resi disponibili online e c’era sia una parte clinica sia di anestesia con evidenze scientifiche fino a ora disponibili, ma tutto cambia di 24 ore in 24. La letteratura è difficile, gli studi sono in cinese e non c’è traduzione in inglese. Per quanto riguarda noi, sul coronavirus sappiamo che ci sarà confronto continuo. La sfida è l’inserimento nella gestione del paziente, molte cose le impareremo».
Qual è la sua paura più grande e quale, invece, la sua speranza?
«La paura è quella di inserirsi in un mondo lavorativo per la prima volta e l’avrei avuta comunque. Ma sono tranquillo perché c’è grande spirito di collaborazione, ci hanno dotato di dispositivi di sicurezza, c’è grande disponibilità nel supportarci e tutto, l’abbiamo capito, si affronta in squadra. Noi siamo l’ultimo tassello e questo ci rassicura: non siamo soli, c’è un team e in virtù di questo siamo ancora più motivati. Io mi auguro che vada tutto bene, spero di dare un contributo per quanto minimo perché le nostre competenze sono piccole ma possiamo spenderle nel migliore dei modi».
Ha ricevuto incoraggiamenti particolari?
«Mi sono confrontato con uno dei miei tutor
Ci sentiamo parte di una squadra Dopo l’epidemia? Mi specializzerò
di tirocinio. Mi ha detto che sarebbe stata una esperienza certamente impattante, ma importante dal punto di vista umano e valeva la pena di prenderla in considerazione. Ho ascoltato bene le sue parole».
Quando questa emergenza finirà ha pensato cosa fare? Proseguirà con la specializzazione?
«Sicuramente. Quello che voglio fare è continuare con il percorso specialistico, ora non siamo specialisti formati completamente e credo sia imprescindibile, non è un optional e dovremmo farlo tutti».
Quando si parla dei medici si usa il termine eroi. Le piace o la disturba?
«Io non sono d’accordo con questa definizione, non siamo eroi e se ci sono certamente non siamo noi giovani. Per chi decide di fare il medico sarebbe strano rifiutarsi di rispondere davanti a determinate esigenze. Chiunque sa che se c’è bisogno si cerca di dare una mano, tutto qui. I medici sono da lodare perché hanno mostrato grande professionalità, così come sono state corrette le scelte fatte a livello locale e nazionale».