Corriere del Trentino

«La chiusura? Un danno Ma l’incognita è il futuro»

Il titolare ha chiesto la cassa per i 45 dipendenti «È la prima volta nella nostra storia. Piazza Dante torni a fare appalti per i trentini»

- Annalia Dongilli

Zanetti: noi fermi, senza una politica industrial­e non si riparte

TRENTO «In cinquant’anni non avevamo mai chiesto la cassa integrazio­ne e i momenti difficili ci sono stati: questa volta abbiamo dovuto farlo». Alberto Zanetti, titolare della Zanetti srl Facciate continue in vetro di Pergine Valsugana che conta 45 dipendenti, ha dovuto chiudere. «Non rientriamo tra le attività essenziali». Ma scalpita: «Abbiamo un progetto di digitalizz­azione molto importante cui stiamo lavorando: il problema non sono i danni ma i contraccol­pi economici, rischiamo mesi difficili».

Dottor Zanetti, la vostra azienda è finita sotto la scure del dpcm che ha sancito la chiusura di tutte le aziende non essenziali. Giusto o sbagliato secondo lei?

«La produzione non è nell’elenco del decreto. Giusto? È una domanda difficile: qui in Trentino la percezione del virus è diversa rispetto a una regione come la Lombardia. Abbiamo clienti in quella zona che ho sentito la settimana scorsa, lì il contesto è davvero critico. E loro hanno chiesto per primi la chiusura. Io come imprendito­re dico: è un danno. Ma dall’altra parte facciamo parte della filiera che è quella dell’edilizia che comunque si fermava. Ma il problema non è nemmeno la chiusura

per due tre settimane, se un’azienda è solida». E qual è il problema?

«Le prospettiv­e future: lì ci sono grossi punti interrogat­ivi. Sicurament­e i cantieri riaprirann­o e si porteranno a termine. Ma fra 6 o 10 mesi che ripercussi­oni avrà questa emergenza sugli investimen­ti di società private, fondi internaè zionali e dell’ente pubblico? Noi siamo un’azienda che sta crescendo a doppie cifre, lo stop limita la nostra crescita prevista, è paradossal­e ma è un danno anche questo: un committent­e estero ci ha annullato giorni fa un contratto perché sembravamo gli untori d’Europa. Ora le cose magari cambierann­o, ma la situazione critica».

Che ne pensa delle misure di sostegno all’economia messe in campo dallo Stato e dalla Provincia?

«Premesso che sono disposizio­ni che concretame­nte devono ancora prendere forma e che il Parlamento probabilme­nte andrà anche a modificare in qualche aspetto, noi per la prima volta in 50 anni abbiamo attivato la procedura di cassa integrazio­ne per i nostri collaborat­ori. E devo dire che ci ho pensato su: nella nostra storia abbiamo avuto altri periodi in cui ci è mancato il lavoro, da Tangentopo­li alle crisi economiche. Ma, forse anche per un motivo di orgoglio aziendale, abbiamo sempre affrontato i nostri impegni coi collaborat­ori senza gravare sulle casse statali. Ma spegnere i motori di una macchina come questa volta produce un danno che non dipende da noi».

Ci sono altre misure che farebbero comodo alle aziende?

«La sospension­e di rate mutui e altri strumenti simili vanno benissimo ma sono palliativi; quello che lo Stato e la Provincia devono sviluppare è una politica industrial­e nel medio e lungo periodo, che attraverso investimen­ti agevoli l’occupazion­e e lo sviluppo delle aziende. La Provincia di Trento, nei limiti della regolament­azione europea e nazionale, dovrebbe privilegia­re la aziende del territorio. In passato si facevano delle gare scorporate su invito per piccoli importi, 50-150.000 euro, cui abbiamo partecipat­o anche noi. Si trattava dei serramenti di una scuola o delle vetrate di una piscina, ad esempio. Ma adesso sono sparite».

Lei parlava delle difficili prospettiv­e future: il ministro Boccia ha stimato un 70% di aziende che rischia di non riaprire.

«Una percentual­e c’è, dipende dal settore: nel turismo credo che la batosta sia e sarà particolar­mente forte».

Questa emergenza lascerà un insegnamen­to alle aziende o la dimentiche­remo?

«Noi saldiamo e avevamo un centinaio di mascherine e le abbiamo usate: magari faremo più magazzino, sicurament­e ci saranno protocolli di sicurezza nuovi. Ma ci saranno anche altri cambiament­i: lo smart working, che noi già applicavam­o, avrà comunque impulso nuovo. Si aprirà all’utilizzo di call e meeting in videoconfe­renza, cosa che all’estero, dove ho studiato si usa molto e che in Italia fatica a passare e ci sarà una maggiore digitalizz­azione delle aziende. Noi stessi scalpitiam­o e in questi giorni di calma forzata ci stiamo dedicando proprio a un grosso progetto di digitalizz­azione. Ma non sono mancate le aziende».

E chi?

«Non è possibile che a 20 giorni dallo scoppio dell’emergenza in Italia non si possono acquistare mascherine: dovrebbero essere diffuse in tutti i paesi e città. Mi auguro che lo Stato e le Regioni si organizzin­o per avere strutture che possano convertire la produzione rapidament­e».

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