Gli esperti del clima: «Siamo al limite, non si può tornare al modello di prima»
Il climatologo: «Sarebbe una tragedia non cogliere questa opportunità: la politica sia lungimirante» Il medico veterinario: «Impatti sulla biodiversità»
TRENTO Roberto Barbiero lo precisa subito: stabilire una connessione diretta tra questa pandemia e il cambiamento climatico non è automatico. Anzi: non sarebbe nemmeno corretto. E complessa è anche l’individuazione di un nesso tra la diffusione del virus e l’inquinamento atmosferico. Ma di fronte a questa epidemia — che ha costretto il mondo a rivedere in fretta priorità e stili di vita — un dato, spiega il responsabile dell’Osservatorio sul clima della Provincia, emerge con forza. Aprendo una nuova scommessa nelle strategie collegate proprio al cambiamento climatico: «Ciò che sta succedendo ha messo in luce un aspetto che fino a ieri sembrava impossibile: ha dimostrato che se i governi decidono di intervenire, la gente è in grado di cambiare il proprio comportamento in tempi brevi, ovviamente prevedendo misure compensative». Una «grande speranza», secondo Barbiero, dopo anni di appelli a favore di un’azione più incisiva e rapida di fronte agli impatti dei cambiamenti climatici, rimasti pressoché lettera morta. «Se la popolazione — prosegue il climatologo — percepisce un pericolo reale, allora è disposta a cambiare. Si dovrebbe quindi far capire alla gente che il cambiamento climatico è ancora più drammatico di questa pandemia,
Barbiero Questa fase ci ha dimostrato che la gente riesce a cambiare le abitudini
anche se meno tangibile». Superando, quindi, il «clamoroso inganno» in cui siamo oggi: «Ci stiamo tagliando il ramo dove siamo seduti». Ed è proprio qui che si gioca la scommessa: «La preoccupazione — ammette Barbiero — è che invece di cogliere questa grande opportunità, puntando su un cambiamento che aiuterà la nostra salute e il pianeta, si rientri nel meccanismo di prima, investendo su un’economia predatoria di risorse come suoli, acqua e foreste per garantirci cibo ed energia. Sarebbe una tragedia. La politica dovrà giocare un ruolo molto importante: serve lungimiranza. La pandemia e il cambiamento climatico ci dicono che stiamo raggiungendo il limite».
Il climatologo torna quindi sul nodo della correlazione tra i vari fattori in gioco. Partendo dalla possibile linea diretta tra inquinamento e rapidità di diffusione del virus. «È fuori di dubbio — osserva Barbiero — che l’inquinamento da particolato atmosferico faccia male e che renda la popolazione più suscettibile alle malattie respiratorie. Ma sostenere che il particolato sia un vettore che accelera la diffusione della malattia è prematuro. Sono d’accordo con chi dice che servono analisi più accurate».
E sulla relazione tra climate change e virus: «Diversi studi dimostrano come il cambiamento climatico favorisca la diffusione di nuove malattie». Un esempio è il virus Zika, trasmesso da zanzare infette: un passaggio da animale a uomo. «Ma nel coronavirus — precisa Barbiero — la trasmissione è da uomo a uomo. Quindi non c’è una relazione diretta». Eppure, aggiunge, «alcune cause del cambiamento climatico sono le stesse che concorrono alla diffusione di pandemie come quella attuale». E tutte riguardano l’uomo: «Le attività dell’uomo e il modello economico attuale sono tra le cause di cambiamento climatico e pandemia, mettendoli in relazione, pur senza legame diretto».
Disegna un legame forte tra attività dell’uomo e perdita della biodiversità anche Annapaola Rizzoli, medico veterinario, esperta di epidemiologia e direttrice del centro di ricerca della Fondazione Edmund Mach. Che ricostruisce con precisione la «storia» del coronavirus. E del famoso spillover. «Questo virus — dice Rizzoli — appartiene a una famiglia di virus molto diffusi nel mondo animale». Nell’uomo ne sono stati rilevati di 7 tipi. Quattro provocano semplici raffreddori. I rimanenti tre sono di origine animale recente: Sars 1 (nel 2002), Mers (2012) e Sars 2, l’attuale. «Quest’ultimo — ammette il medico — è il peggiore per dimensioni». Ma tutti hanno aspetti in comune: non solo la presenza di fasi pandemiche, ma anche la mutazione all’interno di specie animali selvatiche per diventare trasmissibili da uomo a uomo. Con un serbatoio naturale: i pipistrelli. «L’origine — spiega Rizzoli — è legata a comportamenti umani che spingono a usare carni di animali selvatici particolari soprattutto in alcuni periodi». Esemplificando: «Sars 1 e 2 sono nati in Cina, in periodi festivi, durante i quali gli animali selvatici vengono usati perché considerati specialità». Animali portati vivi nei mercati, tenuti in condizioni proibitive. Specie diverse insieme. «Può capitare — prosegue Rizzoli — che in queste condizioni il virus contamini nuove specie animali, acquisisca nuove caratteristiche che lo rendono più adatto ad attaccare l’uomo e permettano la trasmissione da uomo a uomo». Il salto di specie. O spillover. Per la Sars 1 il serbatoio era il pipistrello e il «serbatoio 2» la civetta delle palme. «Per l’attuale virus — sottolinea la direttrice — si pensa che il serbatoio 1 sia il pipistrello. Ma c’è ancora incertezza sui passaggi successivi: c’è chi crede ci sia stato un passaggio pipistrello-uomo e chi invece considera altre specie». Gli studi sono ancora in corso. Ma un aspetto è chiaro: «Il commercio di animali selvatici ha un enorme impatto sulla biodiversità. Anche per questo il Covid viene definito il virus della crudeltà». E in un ambiente complesso ma interconnesso, non a caso il centro ricerca della Fem, primo centro One Health, lancia un messaggio forte: «La salute umana dipende dalla salute dell’ambiente e dalla salute degli animali».
Rizzoli La salute dell’uomo dipende da quella ambientale e da quella animale