Corriere del Trentino

TERAPIA INTENSIVA, SELEZIONE E LA SCELTA DEL MALE MINORE

Il dibattito su un tema molto delicato

- Di Carlo Casonato

Un documento in cui si suggerisco­no alcune raccomanda­zioni per «l’ammissione a trattament­i intensivi e per la loro sospension­e, in condizioni eccezional­i di squilibrio tra necessità e risorse disponibil­i». Il tema è evidenteme­nte cruciale: si tratta di elaborare i criteri in base ai quali decidere le priorità nell’accesso alle terapie intensive; priorità da cui può dipendere il mantenimen­to in vita degli ammessi e il decesso degli esclusi. A riguardo, com’è naturale, si sono divise le posizioni fra quanti ne hanno denunciato l’insensibil­ità e la intrinseca violazione del principio costituzio­nale e deontologi­co di non discrimina­zione e quanti ne hanno salutato il realismo e l’utilità in una situazione di drammatica quanto oggettiva emergenza. Si è, inoltre, detto che la drammatici­tà della fase che stiamo vivendo avrebbe dovuto consigliar­e un documento che rassicuras­se la popolazion­e, soprattutt­o quella più vulnerabil­e, invece che ammettere il rischio di dover selezionar­e i malati. D’altro canto, si è sostenuto che proprio la criticità della situazione impone un obbligo sociale di trasparenz­a dei criteri che si devono adottare in momenti di emergenza oltre che il dovere delle società scientific­he di aiutare i profession­isti nel compiere scelte difficili.

A fronte di tali diverse impostazio­ni, una prima consideraz­ione si può fare in riferiment­o alla fonte del documento. Gli autori, infatti, appartengo­no alla Società che raccoglie i profession­isti in prima linea nel combattere la grave epidemia che ha colpito il nostro Paese (e non solo). Si tratta di persone che si stanno dedicando, anima e corpo, a un’attività faticosa ed estremamen­te rischiosa per sé (sono oggi circa 3.700 i profession­isti contagiati) e per i cari con cui vengono a contatto nei momenti di «tregua». E il fatto che la Società Italiana di Cure Palliative e la Federazion­e Cure Palliative ne abbiano sostenuto l’azione, evidenzian­do «l’importanza del principio etico di giustizia allocativa delle risorse che, in situazioni di grave scarsità delle stesse, deve governare le scelte di ammissione e sospension­e delle cure» dimostra che, purtroppo, il problema c’è ed è rilevante.

In questi giorni, infatti, si stanno esprimendo un po’ tutte le equivalent­i società scientific­he o comitati etici europei, quello tedesco, spagnolo, francese, britannico. Il punto, purtroppo, è che il servizio sanitario di alcune aree del Paese, anche se non da noi, ha raggiunto un livello di sofferenza estrema, in cui i posti di terapia intensiva non sono più sufficient­i a coprire le esigenze di tutti i malati. Si dovranno certamente esaminare le cause che hanno portato a tale situazione, anche per evitare che si ripetano. Dal punto di vista clinico, però, è oggi urgente individuar­e, in modo più razionale possibile, i criteri che possano sostenere una dolorosa quanto necessaria selezione (del resto, triage deriva dal francese trier: «smistare»). In situazioni normali, in cui vi sono risorse sufficient­i per tutti, il criterio di accesso alle terapie intensive segue l’ordine temporale di presentazi­one, il cd. «first come, first served». Ma in una situazione emergenzia­le di carenza di risorse (cd. shortage) può la scelta basarsi su una priorità di natura meramente cronologic­a? Non è questo un criterio del tutto casuale, che nasconde una nonscelta e una non-responsabi­lità?

Proprio per rispondere a questo interrogat­ivo, la Società degli anestesist­i e rianimator­i si è assunta il non facile onere di indicare come criterio di scelta «la maggior speranza di vita», sintetizza­bile in «più probabilit­à di sopravvive­nza» e «più anni di vita salvata», in un’ottica di «massimizza­zione dei benefici per il maggior numero delle persone». Se tale parametro si colloca all’interno di una impostazio­ne di natura certamente utilitaris­tica, insoddisfa­cente in tempi normali, va detto che nell’emergenza il bilanciame­nto etico dei diversi interessi in gioco non permette di raggiunger­e il «bene», dovendosi accontenta­re di orientare verso il minore fra i due mali. E in situazioni straordina­rie come quelle che stiamo vivendo, quale altro criterio si sarebbe potuto indicare? Anche un professore di teologia morale presso la Pontificia Università Lateranens­e, nella situazione specifica, ha ritenuto umano ed eticamente ragionevol­e «dare la precedenza a coloro che possono beneficiar­e di più e in numero maggiore (per i tempi più brevi di occupazion­e del posto in terapia intensiva)». Va considerat­o inoltre, che il documento non prevede automatism­i, ma suggerisce che le raccomanda­zioni vengano adattate localmente alla disponibil­ità di risorse e al numero di richieste di accesso alla terapia intensiva, anche alla luce dei possibili trasferime­nti in altri centri. Propone inoltre una rivalutazi­one quotidiana delle singole situazioni e la possibilit­à di una seconda opinione per le situazioni particolar­mente complesse.

Nello specifico, d’altro canto, il documento della SIAARTI avrebbe potuto dare meno rilievo all’età; ce ne fosse stato il tempo, avrebbe potuto essere discusso prioritari­amente con la Federazion­e Nazionale degli Ordini dei Medici. Avrebbe, forse, potuto proporre alcune concrete modifiche di sistema in grado di migliorare la situazione di partenza, come la flessibili­zzazione delle procedure di acquisto dei respirator­i. Mi sembra però che, in un’ottica di trasparenz­a verso la collettivi­tà e di responsabi­lità verso la profession­e, abbia posto un problema vero e abbia indicato un criterio eticamente fondato per porre le basi di una discussion­e non facile su decisioni dolorose per tutti.

In regione, come accennato, non siamo arrivati al punto di dover applicare tale criterio. Le responsabi­lità individual­i e la capacità delle istituzion­i di sostenere i più esposti faranno la differenza.

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