«Nemmeno Stava fu così dura, torno a disposizione»
TRENTO No, mai era accaduta una cosa simile. «Ricordo Stava, ma allora i pazienti erano perlopiù traumatizzati. Era tutto diverso» ripete Giampaolo Berlanda. Ex primario di rianimazione all’ospedale di Cles, in pensione dal 2015, Berlanda è oggi fra i medici che hanno consegnato la disponibilità a rientrare in servizio. Con prontezza e al tempo stesso con un umanissimo sussulto pensando ai dispositivi di protezione individuale che, in tutto il Paese, sono ormai bene tanto prezioso quanto scarso nelle scorte. «A volte leggo racconti — riflette — e il personale sanitario somiglia ai soldati della campagna di Russia, mandati a marciare con stivali di cartone». Oggi Berlanda pensa ai giovani neolaureati che, con emozione, guadagnano le corsie di Mezzolombardo. E a loro consiglia attenzione. «Proteggere se stessi e il luogo di lavoro — dice — è il modo migliore per assistere i pazienti».
Dottore, lei è fra i medici pronti a tornare in corsia. Cos’ha pensato quando ha consegnato la sua disponibilità?
«Io sto già dando una mano al San Camillo, chi come me aveva partita Iva era più facilitato anche in termini assicurativi. Ora, dopo aver parlato con l’Azienda sanitaria, sono a disposizione in base alle necessità: se restare in forza lì per i pazienti trasferiti o rimettermi alle necessità dell’Azienda. Sono pronto. Nel frattempo attendo e si va avanti giorno per giorno, anche sentendo le preoccupazione dei colleghi circa le direttive ministeriali sui dispositivi di protezione individuale. Sappiamo che la carenza è un tema diffuso ovunque e non è colpa delle Aziende, ma se il personale sanitario si ammala il problema si fa serio. I medici sono stati paragonati ai soldati della Campagna della Russia, con scarponi di cartone».
Ecco: si parla di eroi, di trincee, di guerra. Che ne pensa del lessico utilizzato?
«Penso che sia un modo per giustificare le carenze sistemiche che ci sono un po’ ovunque. Parlare di eroi esalta, ma siamo semplicemente professionisti. Oggi penso ai giovani neolaureati che si trovano a gestire pazienti terminali e a loro serve una guida. Sia chiaro: io parlo da esterno, ancora non sono dentro al funzionamento e non voglio essere critico in questo momento. Mi chiedo però se i professionisti già attivi, oculisti, otorini o dermatologi per esempio, sono già stati del tutto impiegati».
Lei ha un grande bagaglio esperienziale, ma come ricorda in tutto il Paese, così come in Trentino, ci sono anche neolaureati che arrivano nelle corsie. Cosa direbbe a questi ragazzi?
«Ai miei tempi c’era una guida, un tirocinio di un anno; c’era un professionista anziano che ci seguiva. Immagino ci sia certamente un protocollo che seguiranno, di certo l’esaltazione degli eroi fa breccia in questi giovani pieni di grandissima passione e voglia di iniziare. Ed è bello. Ma a questi giovani dico che la prima cosa che ci hanno insegnato, valida soprattutto oggi, è proteggere se stessi e l’ambiente di lavoro. Solo così si può aiutare i pazienti».
Lei è stato primario di rianimazione, ovvero i luoghi dove oggi si concentra la sofferenza maggiore: sia del sistema sanitario nazionale sia dei pazienti (e dei familiari isolati). Quanto sono attrezzate le strutture?
«Non ho in mano dati recenti. Ai miei tempi in rianimazione c’erano due box dedicati ai malati infettivi, oggi la situazione è completamente sovvertita e la mole di pazienti di questo tipo non si è mai vista. La gestione è diversa e anche la possibilità di assistenza. Il vero problema è logistico: trovare respiratori e tecnologie. Sono problemi nuovi per le strutture».
Di questo virus si conosce poco, eppure tanto si legge e si dice. Inizia anche il mercato delle fake news che soffia sulla speranza della cura. Cosa c’è di certo?
«Nessuno sa esattamente dal punto di vista clinico l’evoluzione di questo virus, si fa esperienza in base a quello che s’è fatto in Cina, dove — pare — sono stati in grado di sconfiggerlo. Quello che dice il dottor Antonio Ferro (direttore del dipartimento prevenzione dell’Azienda sanitaria, ndr) è ciò che dobbiamo seguire perché è lui la persona più aggiornata».
Nella sua carriera ha sempre agito nella rianimazione, dove arrivano le situazioni maggiormente critiche. Le è mai successo d’imbattersi in questo scenario?
«No, mai. L’unico ricordo mi porta a Stava, un’emergenza drammatica ma a quel tempo erano traumatizzati e il discorso era diverso. Pazienti con infezioni e malattie contagiose ne avevamo nell’ordine di singoli casi che venivano gestiti molto, molto più facilmente: nessuno dei miei colleghi ha mai affrontato una situazione paragonabile a quella di oggi. È una emergenza nuova e in tanti cercano di barcamenarsi con le risorse che hanno. I medici, compresi quelli di base, dovranno avere dotazioni per affrontare i pazienti e difendersi. Di questa esperienza, mi auguro, faremo tesoro per le scelte future».
Ai neolaureati dico: proteggete voi stessi, pazienti e il vostro lavoro