Sembenotti (Vipo): l’ente pubblico non tagli i contributi
Come sopravviveranno al virus le società minori? Lo abbiamo chiesto a loro
Presidente della Vipo Dovremo contenere i costi, se Stato ed enti locali non aiutano per lo sport di base è la fine
Passato il dramma coronavirus cosa resterà per le nostre società sportive dilettantistiche? Le enormi difficoltà economiche che stanno colpendo moltissime attività produttive come si faranno sentire? Da dove si ripartirà per tornare ai livelli di un mese fa? Al di là dei risultati sportivi legati alla stagione in corso è il futuro a preoccupare, la sostenibilità complessiva è messa a dura prova. È forte il rischio di un ridimensionamento generale. Abbiamo chiesto ai diretti interessati - in una serie di focus a puntate - come vedono la situazione.
Oltre 400 ragazzi nel settore giovanile, il vivaio più importante dal punto di vista numerico della provincia. La prima squadra che milita in Eccellenza, insomma la Vipo (nata dalla fusione tra Villazzano e Povo) è un fiore all’occhiello del nostro movimento calcistico. Il numero uno del club è Marco Sembenotti e di certo non nasconde i suoi timori legati agli strascichi di natura economica e gestionale che questo periodo potrà lasciare.
Presidente, a quanto ammonta il vostro bilancio?
«Si tratta di circa 300 mila euro la gran parte dei quali investiti in allenatori. Abbiamo 19 squadre e per noi la qualità della guida tecnica è essenziale, non a caso siamo riconosciuti come scuola calcio élite. Diciamo che più della metà del budget è riservato a questa voce, guardando i numeri dei giovani tesserati con noi direi che abbiamo intrapreso la strada giusta».
E le vostre entrare da dove arrivano?
«Una parte direttamente dalle quote d’iscrizioni che è di 380 euro l’anno a calciatore, tenete conto però che i ragazzi della juniores non pagano, chi viene con il fratello ha diritto a sconti e se qualche famiglia ha problemi economici conclaranti, mati di certo non mandiamo a casa il figlio. Diciamo che 100 mila euro li incassiamo da questa voce, e poi subentrano gli sponsor, alcune iniziative come la lotteria, il camp estivo e i contributi pubblici o della locale cassa rurale».
Cosa teme possa saltare in previsione futura?
«Prevedo una flessione di tutto ciò che è privato mentre mi auguro che il pubblico non faccia nessun passo indietro altrimenti la sostenibilità diventerà pura chimera. Noi abbiamo una rete di sostenitori che rappresenta il tessuto economico che sta maggiormente soffrendo, mi riferisco a ristobar, negozi, mi viene in mente una pizzeria che ogni anno di dà duemila euro, come faccio ad andare a presentarmi da loro dopo che avranno dovuto tenere la serrande abbassate per chissà quanto tempo».
Senza considerare che qualcuno vorrà indietro parte della quota d’iscrizione dato che comunque da febbraio l’attività si è fermata.
«Potrebbe succedere anche questo certo. Confido in una sensibilità da parte dei diretti interessati, stiamo vivendo qualcosa di unico e la responsabilità non è di nessuno, noi penseremo a scontistiche per la prossima stagione».
Di certo chi riceve compensi economici da voi sarà chiamato ad un sacrificio.
«Indubbiamente. È forse l’unico aspetto positivo di questa situazione orrenda, assisteremo ad un ridimensionamento complessivo e chi non lo accetterà sarà libero di andare dove meglio crede».
Ha calcolato quanto andrete a perdere in totale?
«Tra il 30 e il 40%, questo perché abbiamo deciso che marzo, aprile e maggio non pagheremo i nostri tesserati altrimenti si arriverebbe tranquillamente al 50. La mia speranza, che poi è anche un appello, va alla parte pubblica: se non vorranno che lo sport di base scompaia non dovranno tagliare i contributi rispetto al recente passato. Anzi, se sarà possibile è proprio questo il momento per incidere maggiormente».