«Assistenza nel telelavoro, ecco perché siamo essenziali»
Lizard prosegue l’attività in deroga. Il ceo Vece: «Dalla Protezione civile all’Aquila, servizi da remoto»
TRENTO Il lavoro è cresciuto, in queste settimane. E pure tanto. Ma in questo momento, e Massimiliano Vece lo premette più volte, la sua azienda sceglie il registro tenue del rispetto, del silenzio. «Davvero — spiega il fondatore di Lizard — Non vogliamo metterci in vetrina e quello che facciamo è merito dei miei splendidi collaboratori». La società offre soluzioni ICT, videoconferenza, web collaboration, apparati di rete, strumenti di misura e test, training e formazione, datacenter. Detta altrimenti: in tutto il Paese segue la transizione reverso il telelavoro. Lo fa, da anni, seguendo istituzioni - come Provincia, Comuni, Protezione civile – e imprese. Ma anche società come Aquila Basket e associazioni come Confindustria. Una funzione salvifica, nel mezzo di una remotizzazione dell’attività produttiva e di erogazione dei servizi. Di qui la deroga alle maglie strette del decreto del presidente del consiglio del 22 marzo che disciplinava categorie da sospendere e categorie da mantenere attive.
Partiamo dal principio: come sta cambiando in queste settimane la vostra attività?
«La nostra società eroga fondamentalmente tre tipologie di servizi. Il primo è dedicato alle dotazioni per audiovideo-conferenza, nello specifico funzionale allo smart working e al telelavoro. Siamo stati fra le prime aziende a occuparsene in Italia, già nel 2010 abbiamo avviato il primo progetto. In questi anni abbiamo abilitato una infinità di enti: Protezione civile, Comuni, Province, aziende. Per la verità, in questi anni questo strumento è stato avviato parzialmente, l’investimento non era ritenuto indispensabile».
Come assistete le aziende?
«Lavoriamo tantissimo per due motivi: garantiamo servizi professionali ai nostri utenti e, oltre a ciò, forniamo sicurezza informatica e coordiniamo tutti gli apparati che consentono ai servizi telefonici di interconnettere gli utenti. Ecco perché abbiamo chiesto al Commissariato del governo di continuare a operare, in questo momento sono servizi indispensabili».
Quante persone lavorano attualmente?
«In sede dieci, poi abbiamo un ufficio a Milano e uno a Lille, in Francia. Anche lì, seppur con numeri diversi dall’Italia, si sta vivendo una situazione analoga: il nostro compito è mettere enti, aziende e organizzazioni nelle condizioni di poter operare. E tutto questo lo facciamo da remoto, grazie ai miei collaboratori che sono straordinari. Ecco: quello che auspichiamo, in questo momento così difficile, è che si riesca a trarre una lezione positiva e che si arrivi a cambiare cultura e metodo di lavoro».
Quindi avviarsi verso un nuovo paradigma non più radicato nei modelli quantitativi?
«In regione siamo stati precursori, la provincia di Trento è tra le primissime istituzioni a essersi attivata con il telelavoro. La grande difficoltà che abbiamo avuto era far capire l’importanza degli strumenti tecnologici e al tempo stesso di rivedere la metodologia con cui viene misurata la qualità dei lavoratori e del lavoro. Certo, non lo si può estendere a tutte le professioni, ma c’è molto ancora da fare. Bisogna crederci e non si tratta semplicemente di remotizzare delle funzioni. Il cambiamento risiede nel ripentina
vedere i paradigmi, i processi organizzativi, rivisitare gli spazi. Una volta l’approccio era “una testa una poltrona”. Oggi il concetto dev’essere “dieci teste una poltrona”, valorizzando gli spazi collaborativi e stimolando la creatività».
C’è però la necessità di avere anche connessioni all’altezza.
«È un problema enorme: oggi, primo di aprile, uno dei principali operatori è in down con la rete. Del resto nessuno poteva prevedere questa mole di traffico. È evidente che gli investimenti nella rete devono continuare, puntando sulla qualità. Così come i collegamenti aerei e stradali, la rete è un’infrastruttura strategica. E che deve essere sicura. Qui vorrei dire una cosa».
Prego.
«All’aumentare dei dati aumentano le criticità: dove andranno a finire questi dati? Tutto ciò è un boomerang e servono sia consapevolezza degli utenti, che devono capire cosa immettono nella rete, sia maggiore sicurezza».