Corriere del Trentino

«Io, infermiera e positiva al Covid 19 lasciata sola durante la quarantena»

- Di Luca Tommasini

BOLZANO Tra i più colpiti ci sono loro. Medici, infermieri, operatori sanitari che ogni giorno affrontano di petto questa emergenza. Cosa succede però quando uno di questi «angeli» delle corsie contrae il temuto Coronaviru­s? Ci si sente soli, abbandonat­i, si entra in un gorgo di informazio­ni discordant­i. A confessarl­o è una giovane infermiera dell’ospedale di Bolzano, in servizio in un reparto a contatto con pazienti Covid, colpita dal virus a inizio marzo.

Tra le mura della quarantena — è infatti ancora positiva — ha accettato di rispondere al telefono ad alcune domande, mantenendo l’anonimato.

Come ha contratto il virus e quando è iniziato tutto?

«A inizio marzo ho accusato brividi e sintomi influenzal­i, con febbre oltre i 38 gradi. Dopo una notte la febbre è passata, ma per diversi giorni ho perso completame­nte gusto e olfatto. Ancora oggi ho dolori muscolari e debolezza, soprattutt­o dopo un minimo movimento fisico. Ed è passato quasi un mese. Sicurament­e mi è andata bene, forse anche grazie all’ età, ma spero di non aver contagiato qualcuno di più debole prima dei sintomi della malattia».

Ha pensato subito al Coronaviru­s?

«A dire la verità, sì. Nei giorni precedenti i casi in Italia erano aumentati ed essendo infermiera è stato naturale pensarci. Fino a quel momento in ospedale c’era allerta, ma nessuna precauzion­e particolar­e.

Secondo me è stato un errore: bisognava fare in modo che tutti gli operatori sanitari fossero fin da subito tutelati, viste le informazio­ni che arrivavano ormai non solo dalla Cina, ma pure dalla Lombardia. In quei giorni anche una mia collega aveva sviluppato sintomi, ma solo quando è stata riscontrat­a la positività hanno deciso di sottoporre al tampone tutti i dottori e, successiva­mente, gli infermieri. A me è stato fatto 7 giorni dopo l’inizio dei sintomi e sono risultata positiva: forse si poteva reagire con più prontezza, il 75% dei miei colleghi in reparto in questo mese si è ammalato».

Da quel momento in poi è stata messa in quarantena.

«Sì e devo ammettere di essermi sentita abbandonat­a. Il 23 marzo avrebbero dovuto farmi un tampone, ma non si è visto nessuno. Ho dovuto chiamare io, per scoprire che il mio nome non era nemmeno in lista: solo in quel momento sono venuti e sono risultata ancora positiva. Oggi (ieri per chi legge, ndr) avrebbero dovuto farmene un altro, ma sono arrivati solo per il mio compagno: io, ancora una volta, non risulto in lista. In più il mio dovrebbe essere considerat­o “infortunio sul lavoro”, ma ancora oggi non ho capito se è classifica­to in questo modo: il mio medico di base fatica a districars­i tra le norme. Anche le mie colleghe hanno avuto informazio­ni discordant­i. Insomma, capisco sia una situazione inedita, ma forse si poteva pensare a un piano più strutturat­o già quando l’emergenza era lontana , in via preventiva».

In più c’è la paura di contagiare i famigliari.

«Il mio compagno fortunatam­ente è risultato negativo al primo tampone, anche se la cosa mi ha stupito perché, vivendo insieme, i contatti ci sono. Il giorno in cui ho avuto la febbre ha compiuto un atto di responsabi­lità e, nonostante non avessi ancora fatto il tampone, si è preso qualche giorno di ferie per evitare di contagiare i suoi colleghi».

Come vede il ritorno al lavoro?

«Brutta sensazione restare sul divano, mentre i colleghi lavorano il doppio. Non vedo l’ora di rientrare, ma ammetto che la cosa mi preoccupa: c’è paura di essere nuovamente contagiata, di essere magari asintomati­ca e di portare il virus a casa: per questo valuterò se alloggiare da sola da qualche parte, fino alla fine dell’emergenza».

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