È tornata l’ostilità che non ci aiuta
La finta allegria utile ad arginare l’ansia sta qui e là lasciando spazio ai vecchi vizi, in particolare rabbia, gelosia e intolleranza. Le lettere ai giornali sono un primo sintomo. Seppur in minoranza, iniziano ad apparire quelle polemiche. Qualcuno ad esempio contesta i coretti improvvisati che uniscono una casa all’altra: c’è gente che soffre, non ci deve essere spazio per le ugole allegre. Altri lamentano i comportamenti scorretti, senza in realtà sapere se siano davvero tali, perché l’importante è ergersi a giudice ed emettere sentenze. Dagli sfoghi epistolari alle azioni concrete il passo è breve. La signora, chiusa nel suo appartamento, apre la finestra per sgridare due bambini che giocano con la palla nel palazzo di fronte: «Bisogna stare in casa», grida. Il papà prova a obiettare: «Sono fratelli, non c’è nessun altro e fanno attività motoria sotto l’abitazione». Pronta la replica: «E se la palla arriva qui e mi contagia?». Intanto c’è chi telefona alle forze dell’ordine per segnalare gente che se ne sta in giardino: è un luogo privato e recintato, sulle sedie solo i membri conviventi della stessa famiglia. Insomma, un conto è segnalare giustamente chi violando le regole rappresenta un pericolo, altro è godere il gusto rancoroso della delazione contro chi in realtà rispetta le norme ma ha la fortuna di avere maggior spazio per sopportare la forzata «prigionia».
Poiché la politica è lo specchio (a volte un po’ deformato, ma sempre specchio rimane) della società, ecco che i rappresentanti del popolo cominciano a rompere le tregua. Giorno dopo giorno si leggono interviste e dichiarazioni critiche e anche in tal caso occorre fare un distinguo. È normale, anzi opportuno, segnalare se qualcosa non va e se potrebbe essere fatto meglio. A far la differenza sono i toni, i dettagli che separano il contributo costruttivo dall’attacco malevolo. D’altronde perfino l’Europa, che pochi giorni fa diceva «Siamo tutti italiani», ora si divide tra Paesi del Nord e Paesi del Sud.
Certo, pensare che la bufera pandemica possa redimerci da ogni peccato e renderci santi è una pia illusione, ma forse siamo ancora in tempo per attenuare almeno qualche difetto. «Nessuno si salva da solo» ci viene ricordato dalle voci più nobili: proviamo allora a conservare un minimo di unità. Intendiamoci, si tratta non di auspicare un falso unanimismo, né di fare sconti a chi sbaglia, ma solo di conservare un minimo dell’empatia, della condivisione e della solidarietà che ci hanno aiutato ad affrontare lo choc iniziale. Sull’ultimo numero della Lettura si parla del libro di Nicoletta Gosio («Nemici miei», Einaudi). La psichiatra avverte che sarebbe un guaio se ci rifiutassimo di «riconoscere le nostre debolezze, i lati oscuri, le contraddizioni, i limiti, le responsabilità individuali, il bisogno di relazioni di fratellanza». Avremo tanti ostacoli da affrontare anche quando l’emergenza sarà attenuata e superata, dunque secondo Nicoletta Gosio abbassare il tasso di ostilità gratuita verso l’altro sarà per l’Italia una delle necessità più impellenti. Penso che abbia ragione.